Il "Bicchiere mezzo pieno". Ricordo di Debra Hill

Scomparsa a soli 54 anni, la produttrice aveva legato il suo nome a un cinema propositivo, basato sul rispetto per i personaggi e per le loro regole interiori. Un cinema di grande integrità e aperto all'emozione, che ha avuto in John Carpenter il più celebre esponente

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"Non sono cresciuta nell'ambiente del cinema. Mio padre era stato pittore di scenografie a Hollywood, ma questo prima che io nascessi. Solo recentemente ho scoperto che aveva lavorato con Orson Welles. (..) Però è per via delle sue magnifiche storie che ho iniziato ad amare il cinema."

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Con queste parole Debra Hill descriveva nel 1999 il suo rapporto con l'immaginario della settima arte a Giulia D'Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto, che l'avevano intervistata per il loro libro "John Carpenter" (pubblicato da Lindau). Una donna tanto concreta sul lavoro, quanto appassionata e sognatrice nel suo rapporto con il mondo dei sogni che la celluloide rendeva così veri e "bigger than life". Il cinema come potere della narrazione, dunque, e in questo sta il segreto delle pellicole che la Hill ha contribuito a rendere immortali e con i quali ha, letteralmente, fatto crescere una generazione di appassionati.


Amante di generi come la fantascienza di serie B e l'Horror, Debra Hill ha giocoforza finito per incrociare la sua strada con alcuni futuri maestri del genere agli albori della New Hollywood: quello del già citato Carpenter è senz'altro il nome cui più è stata legata, ma nel suo curriculum svetta anche David Cronenberg, di cui tenne a battesimo l'esordio hollywoodiano de La zona morta.

Nata nel 1950 a Philadelphia, Debra Hill crebbe nel New Jersey sognando il cinema, ma senza poter frequentare alcuna scuola specializzata nel settore, causa indisponibilità economica della famiglia. Dopo aver ripiegato sul corso di sociologia dell'università della Pennsylvania, con la laurea in tasca si trasferì a Ovest, dove entrò nella "macchina cinema" in punta di piedi nel 1974, rifiutando i tipici "ruoli da donne" che pure le venivano immancabilmente offerti. Così, a una carriera da addetta al trucco o da parrucchiera, Debra preferì la scomoda gavetta come segretaria di edizione, editor e assistente alla regia, complice un saggio consiglio di Verna Fields, la montatrice de Lo squalo. E proprio come segretaria di edizione approdò sul set di Distretto 13 – le brigate della morte, secondo film di un regista altrettanto giovane e motivato che sarebbe diventato John Carpenter. Nonostante un background non propriamente identico (Carpenter era figlio di un musicista e aveva frequentato una di quelle scuole specializzate che il destino aveva precluso a Debra) i due scoprirono una forte affinità cinematografica. Entrambi erano appassionati di cinema fantastico e entrambi sapevano "che cosa funziona e che cosa fa paura alla gente". Così lavorarono insieme ad Halloween, del quale Debra fu cosceneggiatrice e nel quale riversò molte delle sue esperienze di vita in un paese di provincia (Haddonfield, che divenne la città del maniaco Michael Myers) e del suo passato lavoro di baby sitter. I dialoghi di Laurie Strode con le amiche sono frutto del suo apporto, così come è la sua mano, nelle scene iniziali del film, ad impugnare il coltello con il quale il giovane Michael Myers massacra la sorella. Il resto, come si dice, è storia: Halloween ebbe un enorme successo spalancando la carriera hollywoodiana a John Carpenter e permettendo a Debra Hill di diventare una stimata produttrice. Insieme i due dettero poi vita a Fog (1980), 1997: fuga da New York (1981), Fuga da Los Angeles (1996) e in tempi più recenti, oltre al remake dell'appena citato Fog (che dovrebbe dirigere Rupert Wainwright, regista di Stigmate) si parlava anche di un terzo capitolo della saga dedicata a Jena Plissken.

Come la collega Gale Anne Hurd, che ha legato i fasti della sua carriera al nome di James Cameron, anche Debra Hill ha realizzato film apparentemente molto poco "femminili", in contrasto anche alla sua immagine minuta e molto dolce. La sua ricetta in fondo era molto semplice: "Credo che per una donna uno dei modi migliori di non essere immediatamente percepita in quanto donna sia quello di scrivere un film come le donne di solito non lo scriverebbero.". Non si tratta, però, di semplice ruvidezza delle situazioni: i film prodotti dalla Hill mantengono tuttora una grande qualità nel dosaggio degli elementi all'interno di intrecci portati allo spasimo e spesso lasciati deflagrare nell'immaginazione più pura, come testimonia anche La leggenda del Re pescatore (1991) di Terry Gilliam. Sono pellicole dove emerge una forte sensibilità, la cui appartenenza al genere non deroga mai da un grande rispetto per i personaggi, per le loro regole interiori e per il loro rapportarsi a un mondo che sembra sfuggire di mano. Una integrità che probabilmente le proveniva dall'essere cresciuta respirando un cinema che poteva mostrare grandi possibilità, che risultava aperto alla sperimentazione e dunque all'imprevisto, in una parola all'emozione. Ecco, la propositività è certamente la carta che più ha giovato al lavoro di Debra Hill, la quale, peraltro non ha mai fatto mistero di ritenersi il "bicchiere mezzo pieno" (in opposizione al pessimismo delle storie carpenteriane, dove John era chiaramente il "mezzo vuoto") e dunque la molla foriera di possibilità per un cinema che sa raccontare delle storie. Un cinema non semplicemente "al femminile", ma di grande sensibilità umana.


 


"Penso che sia sempre più difficile fare un film, gli Studios sono in cerca di "film evento" e non si preoccupano più della costruzione dei personaggi. Per me, quel che fa funzionare un film sono i personaggi, non tanto la trama. E penso che anche una parte del pubblico la pensi così."


(Debra Hill)

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