Il capitale umano, di Paolo Virzì
Adattando il romanzo omonimo di Stephen Amidon, tra finanza tossica e risvolti noir, Paolo Virzì s’incunea nelle mille sfumature di nero della ricchissima borghesia italiana in tempo di “crisi”. Il regista livornese maneggia generi e stilemi classici con una padronanza registica ormai collaudata e – seppur con qualche evitabile meccanicità – vince la sua scommessa più ambiziosa
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Il film di Paolo Virzì ricostruisce pazientemente le vite di questi “smisuratamente normali” charachters, utilizzando la vecchia cara tecnica della suddivisione in capitoli: tornando indietro nel tempo ogni volta, riproponendo i fatti secondo tre punti di vista diversi (Dino, Carla, Serena) e disegnando così le mille sfumature di nero intraviste nel dietro le quinte della ricchissima borghesia italiana. Virzì maneggia convenzioni e stilemi classici con una padronanza registica ormai collaudata, attuando una radicale contaminazione di genere ai suoi tradizionali umori – rimane impressa la sequenza del banchetto con il potenziale CDA del teatro, girata come i nuovi mostri della “odierna” commedia all’italiana – e tirando in ballo una serie di atmosfere familiari per lo spettatore smaliziato: ovviamente il noir classico americano (con certe derive postmoderne in stile fratelli Coen o Sam Mendes); ma anche il palese riferimento al nero francese, dal Maestro Chabrol sino al Truffaut de La Calda Amante (con tanto di poster del film esposto nella cameretta di Serena). Il regista livornese punta in alto e non sfigura, fa detonare il suo film dall’evento scatenante dell’incidente posto sui titoli di testa (una sequenza girata magnificamente, tesa e cruda, che dà subito il giusto tono al film) e pian piano s’incunea nelle vite di questi individui posti di fronte alle fatali scelte di una notte. Il backstage della crisi economica che ci sta divorando è presentato come uno squallido teatrino di pupi: il letterale riferimento al teatro diroccato che non riesce a riaprire nemmeno con gli scampoli di passione della svogliata Carla – farsesca e a suo modo coraggiosa la sequenza del rapporto sessuale troncato tra Lo Cascio e Bruni Tedeschi mentre guardano Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene, “ti perdono, ti perdono, ti perdono…” – getta una luce perversa sui legami Finanza-Cultura che scavalcano di netto una Politica ormai debolissima.
Ecco è forse in questo suo manifesto impeto etico che il film cede qualcosa in tensione e interesse, segnando l’unico vero punto debole dell’operazione. La frase “avete scommesso sulla rovina di questo Paese, e avete vinto!” (riportata addirittura nel trailer e pronunciata prosaicamente da Valeria Bruni Tedeschi) dimostra sin troppo chiaramente l’aderenza all’attuale tessuto socioculturale italiano, arrivando paradossalmente a depotenziare certe ambiguità che se lasciate latenti avrebbero inciso maggiormente. È come se sceneggiatori e regista avessero a un certo punto avuto un’intima paura a lasciare lo spettatore “da solo” nel buio delle ambiguità del nostro presente (pensate a William Friedkin come avrebbe trattato oggi questa storia, questi personaggi, queste stesse atmosfere) concedendogli un po’ troppi appigli di salvataggio per pensare/redimersi.
Tuttavia, anche con qualche evitabile “meccanicità”, il film riamane una scommessa vinta per Virzì. La vera migliore offerta della stagione italiana. Il cuore pulsante di ogni singola inquadratura, insomma, resta sempre e comunque il Cinema (con i suoi caldi umori): il capitale umano, in fondo, non è mai solo un numero.
Regia: Paolo Virzì
Interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Lugi Lo Cascio, Bebo Storti, Matilde Gioli, Giovanni Ansaldo
Origine: Italia 2014
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 109'