Il cartoon africano tra invenzione e tradizione

Forse il vero evento della 13ª edizione del Festival del Cinema Africano di Milano. Un capitolo della storia del cinema di insospettata ricchezza, che probabilmente non comparirà mai in nessuna storia laureata del cinema e che il grande pubblico non sarà mai messo in grado di conoscere.

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Forse il vero evento della 13ª edizione del Festival del Cinema Africano di Milano è stata la corposa retrospettiva dedicata al cartoon africano. Spesso brevi opere, ma che, dal Maghreb all'Africa nera, hanno tutte la caratteristica di trovare la loro più profonda matrice culturale in un sincero richiamo alle locali tradizioni orali. Ma forte resta anche da parte di questi autori il desiderio della pura sperimentazione cinematografica per mezzo di modalità narrative filtrate da forti connotazioni artigianali. Un capitolo, insomma, della storia del cinema di insospettata ricchezza, sia per la quantità e sia per la qualità dei materiali passati in rassegna durante la settimana di proiezioni.

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Sono proprio le caratteristiche, quelle fondanti la vicenda evolutiva del cartoon africano, che non ci permettono di prescindere, volendone tracciare un profilo di massima, dalla tradizione culturale che costituisce il brodo di coltura del cinema d'animazione in Africa. In questa caratteristica sta la differenza tra il cinema d'animazione di matrice industriale, quello per intenderci di produzione occidentale che, se pure amiamo, non possiamo non ricollegare ad una attività comunque speculativa, e il cartoon africano, che per le peculiarità che gli sono proprie nasce da esigenze prettamente evolutive delle tecniche narrative fantastiche della tradizione orale assegnata ai griot (cantastorie) e, soprattutto, vive di sistemi d'animazione artigianali dai risultati inconsuetamente spettacolari. Un esempio è sicuramente rappresentato da tutti quegli autori che lavorano proprio sui materiali di scarto, nobilitando, fin dai tempi non sospetti ai quali risalgono alcuni di questi lavori, con l'arte del riciclaggio materiali che prendono vita sullo schermo. Questa manipolazione ci trasmette, attraverso la povertà delle risorse, una ricchezza inventiva sia sul versante visionario che su quello più strettamente narrativo. Non c'è dubbio, infatti, che il frutto principale di questo lavoro è la trasformazione della realtà in una realtà altra, che però resta reale grazie agli strumenti espressivi utilizzati, ma che, nello stesso tempo, va ascritta alla sfera fantastica quanto all'oggetto della visione. Anche l'aspetto narrativo trae nuova forza da questa materialità del cartoon così concepito, poiché non restando puro disegno allarga i rimandi della narrazione, offrendo allo spettatore inusuali punti di fuga rispetto alla dimensione puramente fantastica del disegno animato tradizionale.

Le prime forme espressive di un certo rilievo risalgono agli anni '30 per la caparbia volontà di utilizzare il disegno animato come ulteriore sbocco espressivo della propria tradizione. Il Paese capofila di questa sorta di rivoluzione espressiva e formale è l'Egitto che costituisce, nell'ambito della produzione cinematografica animata africana, una storia a sé. Così come i suoi fratelli Frenkel, semiti in terra d'Egitto che li ospita dopo una precipitosa fuga dalla Russia per sfuggire alle persecuzioni antisemite, nel loro studio polivalente di falegnameria di Alessandria creano Mish-Mish Effendi. Il personaggio, di cui Maria Silvia Bazzoli, curatrice della rassegna, e Anna Maria Gallone e Alessandra Speciale, sue collaboratrici, hanno potuto reperire molti episodi, è ispirato alle prime apparizioni di Myckey Mouse e di Felix the Cat. I Frenkel rimasero impressionati dall'apparizione di questi due personaggi e, pur nel conferire al loro Mish-Mish caratteristiche e situazioni comiche legate alla storia contemporanea del Paese, è indubbia la volontà di "internazionalizzare" il personaggio legandolo alla, altrettanto contemporanea, storia del cartoon. Non deve quindi stupire il percorso di questo personaggio all'interno della evoluzione sociale dell'Egitto. Ai suoi autori, così, furono presto commissionati dalle autorità di governo dei film che aiutassero a sostenere le iniziative per l'ammodernamento del Paese.


Differenti e più tardive sono invece le vicende storiche dei cartoon in altri Paesi, siano anch'essi quelli in cui è più forte l'influenza occidentale, Tunisia per prima e Sud Africa poi. In Tunisia la storia del disegno animato è recente ed è soprattutto legata ai nomi di Mongi Sancho  e Zouhair Mahjoub. Il  primo realizza il suo primo breve film in modo più che artigianale, ma il premio ricevuto durante una manifestazione cinematografica lo convince a continuare su quella strada. Correva l'anno 1968. L'altro ha alle spalle studi di cinema compiuti in Europa e ha sempre rinnovato la propria attività sperimentando e inventando, attraverso nuove tecniche, le storie dei propri personaggi. In Sud Africa le cose andavano in modo differente, cospicui capitali furono alle spalle dei primi disegni animati in quel Paese. Si era negli anni della prima guerra mondiale e si improvvisava inventando e manipolando sia i mezzi di ripresa che i supporti e si raffinò presto lo stop-frame animation.


Una mole enorme di materiali che, al di là di questi picchi che possono dirsi, quali in misura maggiore, quali in misura minore, strutturati in una forma artigianale di studi cinematografici, corre per tutto il continente quel desiderio assoluto di narrare attraverso le forme colorate e vivaci del disegno animato. Ed è proprio quando gli autori, o se si preferisce questi onestissimi artigiani del cinema, attingono alla tradizione più autentica dei propri Paesi che le opere trasmettono quella inconfondibile freschezza e autenticità che spesso viene meno quando il film prende a prestito schemi estranei alla propria tradizione.


Ma per rendere omaggio alla fatica espressiva di tutti gli autori che probabilmente non compariranno mai in nessuna storia laureata del cinema e che il grande pubblico non sarà mai messo in grado di conoscere, e per dare riconoscimento anche al paziente e meritevole lavoro svolto per dare forma compiuta a questa preziosa rassegna, che rappresenta a suo modo un festival a sé stante, corre quasi l'obbligo, nell'impossibilità di segnalare tutti i registi dei corti passati sugli schermi della manifestazione milanese, quanto meno di ricordare i Paesi presenti: Algeria, Tunisia, Burkina Faso, Benin , Burundi, Congo, Costa d'Avorio, Gabon Egitto, Zimbabwe, Ghana, Madagascar, Martinica, Mautritius, Mali. Niger. Senegal, Sudafrica.


Di largo respiro l'utile riflessione su tutti i temi del cartoon, non soltanto quello di matrice africana, condotta dalla curatrice Silvia Bazzoli, svoltasi durante il festival. Vi hanno partecipato una buona parte degli autori le cui opere sono state selezionate nel corpo della rassegna, oltre ad autori la cui attività più che decennale è ormai riconosciuta, Bruno Bozzetto e Michel Ocelot, quest'ultimo in veste di regista di cinema d'animazione di cui va ricordato il recente Kirikù e la strega Karabà che attinge proprio alla tradizione africana e non tanto quanto presidente della giuria dei lungometraggi. Presente anche Giannalberto Bendazzi, esperto di cinema d'animazione. Ne è emerso un quadro non confortante e, soprattutto, la difficoltà quasi "globalizzata", di lavorare nel settore del disegno animato, che soffre inevitabilmente di una sorta di chiusura, schiacciato com'è dalla produzione industriale d'oltreoceano che è l'unica ad ottenere un'attenzione, sia pure indotta, da parte del pubblico.

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