"Il castello nel cielo", di Hayao Miyazaki

Miyazaki reinterpreta la Laputa di Swift, simbolo dell’allontanamento del pensiero scientifico dai reali bisogni dell’uomo, facendone una parabola dell’inevitabile corruzione dell’animo umano, incapace di accettare un ruolo non predominante all’interno del ciclo naturale delle cose. Un tempo rigogliosa roccaforte di una civiltà evoluta, Laputa è al contempo Eden leggendario, come tale inaccessibile all’uomo, e custode di un sapere tecnologico avanzatissimo e potenzialmente distruttivo
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Il castello nel cielo

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Nella terza parte de I viaggi di Gulliver, Jonathan Swift racconta di un’isola volante abitata da bislacchi scienziati intenti a esperimenti demenziali, quali ottenere ghiaccio da polvere da sparo, estrarre raggi di sole dai cetrioli o ritrasformare gli escrementi in cibo: è più che evidente quale ruolo la satira dello scrittore inglese verso la fiducia illimitata nel progresso industriale potesse giocare nell’ispirazione del quarantacinquenne Hayao Miyazaki, già capace al suo terzo lungometraggio di una personale e riconoscibilissima poetica, animata da una sensibilità particolare al conflitto tra natura e scienza, spiritualità e tecnologia. Miyazaki reinterpreta la Laputa di Swift, simbolo dell’allontanamento del pensiero scientifico dai reali bisogni dell’uomo, facendone una parabola dell’inevitabile corruzione dell’animo umano, incapace di accettare un ruolo non predominante all’interno del ciclo naturale delle cose. Un tempo rigogliosa roccaforte di una civiltà evoluta, Laputa è al contempo Eden leggendario, come tale inaccessibile all’uomo (sopravvive solo nelle testimonianze di qualche libro, e il padre di Pazu, che ne intravede la fugace apparizione nel cielo, muore nel tentativo di raggiungerlo), e custode di un sapere tecnologico avanzatissimo e potenzialmente distruttivo, esplicitato dal risveglio dei soldati-robot. Un giovanissimo minatore, Pazu, e una regina inconsapevole, Sheeta, divengono il catalizzatore delle forze che animano la doppia e ambivalente natura dell’isola e il suo misterioso legame con la Terra. L’uno legato alle profondità terrestri ma teso verso lo spazio celeste dalla passione per gli uccelli e per il volo, l’altra piovuta dal cielo priva di memoria e di radici, depositaria di antiche formule dimenticate, ridestano energie naturali ed passioni umane, muovendosi tra le viscere delle miniere e le turbolenze aeree, scoprendo la cieca volontà di onnipotenza degli uomini e il potere lento e inesorabile della natura. L’intero, lungo viaggio di Sheeta e Pazu si gioca su un continuo contrasto tra cielo e terra, elementare ma tradotto in immagini straordinarie, come la scena in cui i due ragazzi si calano nella miniera e la magica pietra al collo di Sheeta anima i cristalli delle rocce, rendendo le pareti simili a un grande cielo stellato; o come la sequenza finale che vede Laputa fluttuare alla deriva nel cielo. Mentre i suoi armamenti si sbriciolano in mare, le rovine dell’antica civiltà dell’isola persistono, tenute insieme dalle radici di albero gigantesco. Degli uomini non c’è più traccia.

 
 
Una scena de Il castello nel cieloSe il tema della natura che si rigenera era già dominante in Nausicaä della Valle del Vento (1984), ? in cui gli alberi assorbivano l’inquinamento pietrificandosi e l’eventuale estinzione umana appariva un evento irrilevante all’interno di un cambiamento dell’ecosistema mondiale ?, il rapporto tra Pazu e Sheeta riprende chiaramente, in chiave più complessa, quello che lega la coppia protagonista di Conan, il ragazzo del futuro (1978), dove Conan è l’elemento concreto e legato alla terra e Lana quello spirituale in virtù dei suoi poteri telepatici. Ma è certamente la fascinazione per il volo l’ossessione miyazakiana che più marcatamente rende Il castello nel cielo una sorta di raccordo tra le opere precedenti e i capolavori dell’allora appena nato Studio Ghibli; dopo la sua parziale distruzione, Laputa è libera di levarsi al di sopra delle miserie umane, e la stessa libertà rincorrono gli uomini astraendosi dal mondo a bordo di un velivolo. Fin dai titoli di testa il film mette in scena meravigliose macchine volanti dall’estetica bizzarra, a metà strada tra il futuribile e il retrò, testimonianza della passione di Miyazaki tanto per l’aviazione pionieristica quanto per le creazioni ingegneristiche che l’hanno immediatamente preceduta, legate all’idea che le ali dei velivoli dovessero imitare quelle degli uccelli o degli insetti, come la squadriglia di flaptor pilotati dai pirati che inseguono Sheeta. In questo senso, la pellicola che più si avvicina a Il castello nel cielo è senz’altro Porco Rosso (1992): entrambe ambientate in un Occidente mitizzato, esprimono la nostalgia nei confronti di un’epoca che inventava macchine per proiettare l’umanità verso un luminoso futuro; un’utopia contraddetta dalla consapevolezza che quel futuro si è trasformato in un cupo passato, ma di tale capacità evocativa da risultare più forte della dolorosa realtà della storia.
 
 
 
Titolo originale: Tenku no Shiro Laputa
Regia: Hayao Miyazaki
Interpreti (voci versione italiana): Eva Padoan, Alex Polidori, Sonia Scotti, Tony Sansone, Dante Biagioni
Origine: Giappone, 1986
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 124’
 
 
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