Il cinema di ZHANG YIMOU


Dall'apprendistato alla Beijing Film Academy a The Flowers of War, un blockbuster commovente, tra i film più costosi della storia del cinema cinese, che ha il vantaggio di avere come protagonista Christian Bale: Zhang Yimou torna a mostrare un'attenzione predominante per le sofferenze della donna, come nei film di inizio carriera, ma con uno stile rinnovato che è passato tramite la ricerca estetica di Hero e le semplificazioni narrative di Non uno di meno

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Zhang Yimou, nato all'inizio degli anni '50 nella provincia dello Shanxi, ha avuto un'infanzia travagliata: il padre era stato un ufficiale dell'armata di Chiang Kai-shek, mentre lo zio era emigrato a Taiwan in seguito alla vittoria di Mao nel 1949, fatti che posero la sua famiglia sotto lo scrutinio del governo. Zhang è costretto a lasciare precocemente la scuola e a lavorare, prima nei campi, poi in un'azienda tessile, potendo coltivare la sua passione per pittura e fotografia solo nel tempo libero. Gli anni della formazione coincidono con quelli della Rivoluzione Culturale, che dal suo inizio nel 1966 si concluse solo con l'arresto della Banda dei Quattro nel 1976. In questo periodo l'industria cinematografica cinese è posta sotto stretta sorveglianza dall'autorità. Come conseguenza, sono prodotti pochissimi film, aderenti a rigide regole di scansione drammatica ed evoluzione dei personaggi. Dalla presa di potere di Deng Xiaping, nel 1978, la situazione muta: il regime favorisce la critica degli eccessi della Rivoluzione Culturale, anche per legittimare la propria apertura all'economia di mercato, e sono prodotti numerosi film che affrontano i drammi del decennio trascorso. In questo contesto di moderato rinnovamento riapre anche la Beijing Film Academy, la più grande e prestigiosa accademia drammatica cinese. Zhang prova subito a iscriversi, ma non ha sufficienti garanzie scolastiche. Solo dopo aver rivolto un appello al ministero e aver mostrato un portfolio di sue fotografie la sua richiesta viene accolta e viene dirottato sul corso di cinematografia. Durante le lezioni conosce Chen Kaige, Tian Zhuangzhuang, Zhang Junzhao, Huang Jianxin, Wu Ziniu e altri futuri registi che formano il nucleo di quella che sarebbe stata identificata come «Quinta Generazione», riferendosi in particolare al 1982, anno di laurea di Zhang Yimou e di gran parte dei suoi amici. Questo eterogeneo gruppo di cineasti imprime un'accelerazione alle modalità di messa in scena classiche del cinema cinese. Grazie alla ritrovata libertà, possono sperimentare sia da un punto di vista tematico, che stilistico, identificandosi più che altro in un generale rifiuto del realismo socialista in vigore in precedenza. I due film che aprono la strada al movimento sono One and Eight di Zhang Junzhao, del 1983, e soprattutto Yellow Earth di Chen Kaige, del 1984, presentato con successo al festival di Locarno. In entrambi i film Zhang Yimou è il direttore della fotografia. Nel successivo Old Well, distribuito nel 1987, Wu Tianming, regista della generazione precedente (che verrà quindi chiamata per contrasto «Quarta Generazione»), gli affida il ruolo di protagonista – oltre a quello di direttore della fotografia – facendogli vincere il premio per il miglior attore al Tokyo International Film Festival.

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Dopo questo lungo percorso di avvicinamento, Zhang ha l'opportunità di esordire alla regia con la riduzione su grande schermo di Sorgo rosso, tratto dallo scrittore Mo Yan. Il film, dramma rurale ambientato negli anni '30 che vede una giovane donna venduta a un possidente terriero vecchio e malato di lebbra, rappresenta anche l'esordio nel ruolo da protagonista di Gong Li, che presto diventa uno dei volti più noti del cinema cinese. Tra Zhang e l'attrice nasce una duratura relazione, non solo professionale, che porta il regista al divorzio dalla precedente compagna. Gong Li sarà protagonista di tutti i suoi film fino alla separazione dopo l'altalenante La triade di Shanghai, nel 1995. Il periodo trascorso con Gong Li come musa segna una prima fase della poetica di Zhang Yimou, in cui oggetto centrale della narrazione sono donne infelici che si ritrovano a lottare contro un rigido sistema confuciano, che si tratti di mariti violenti o della burocrazia. Ju Dou (1990), nominato agli Oscar, Lanterne rosse (1991), Leone d'Argento a Venezia, La storia di Qiu Ju (1992), Leone d'Oro, Vivere! (1994), premio della Giuria a Cannes, rappresentano un crescendo di notorietà internazionale e il continuo arricchimento di una modalità espressiva magniloquente, eppure sempre ancorata nello specifico cinese, fino al ritratto epico di Vivere!, che comprime quasi quarant'anni di storia cinese.
Punto di rottura è Keep Cool (1997), commedia urbana dallo stile sincopato che presenta in modo ironico lo “scontro di civiltà” tra una nuova e una vecchia Cina. È l'inizio per una nuova fase nella carriera di Zhang, che torna a piccole storie evocative, ma con uno sguardo in qualche modo più auto-consapevole e commerciale. Il successo di Non uno di meno (1999), di nuovo Leone d'Oro a Venezia, storia di una giovanissima sostituta insegnante alla ricerca di un alunno fuggito, pone il modello anche per La strada verso casa (1999), Orso d'Argento a Berlino, che lancia Zhang Ziyi prima ancora di La tigre e il dragone (2000), e Mille miglia lontano (2005), due storie d'amore e tradizioni legate al viaggio come scoperta di sé.

La definitiva consacrazione in Occidente, non solo con cinefili e frequentatori di sale d'essai, ma anche con il grande pubblico, arriva con Hero (2002), distribuito in grande stile da Miramax in tutto il mondo. Si tratta di un manieristico affondo nelle tradizioni wuxia, le storie di cavalieri erranti della tradizione letteraria cinese, che sancisce anche lo spostamento di Zhang Yimou verso una posizione più conciliante nei confronti del regime – come suggerisce il finale, con quel confronto altamente simbolico tra l'imperatore e l'assassino che aveva il compito di ucciderlo. È l'occasione per dedicarsi con più convinzione ai film in costume, come indicano La foresta dei pugnali volanti (2004), La città proibita (2006) e il divertito Sangue facile (2009), rilettura di Blood Simple dei fratelli Coen. Una rinnovata unità con il proprio paese, in cui dominano ricerca cromatica e potenza espressiva delle inquadrature, che gli permette di ricevere l'incarico di dirigere la cerimonia d'apertura degli agognati Giochi Olimpici di Pechino nel 2008.
Intanto Zhang è comunque alla ricerca di nuove sfide: dopo il classico mélo giovanile Under the Hawthorn Tree (2010), ambientato significativamente negli anni della Rivoluzione Culturale, l'occasione arriva con un libro di Yan Geling su uno degli episodi più bui del secolo scorso – il massacro di Nanchino/Nanjing da parte delle truppe d'invasione giapponese.

The Flowers of War è un blockbuster commovente, tra i film più costosi della storia del cinema cinese, che ha il vantaggio di avere come protagonista Christian Bale, seconda star hollywoodiana ad avventurarsi in una produzione totalmente cinese dopo il Kevin Spacey di Inseparable (Eng Dayyan, 2011). The Flowers of War racconta l'orrore dell'occupazione dell'ex capitale cinese, avvenuta nel 1937, a partire dal microcosmo che gravita intorno a una chiesa – rifugio per delle giovani studentesse, alcune cortigiane del quartiere del piacere e un becchino occidentale costretto a fingersi prete. Zhang Yimou torna a mostrare un'attenzione predominante per le sofferenze della donna, come nei film di inizio carriera, ma con uno stile rinnovato che è passato tramite la ricerca estetica di Hero e le semplificazioni narrative di Non uno di meno. Ne risulta un film fruibile a qualsiasi latitudine e insieme toccante, che nonostante alcune esagerazioni vagamente kitsch nella regia, conserva una forza espositiva lacerante. Senza risparmiare colpi bassi, con la macchina da presa a mano che freme nervosa tra le strade fumanti di macerie e cadaveri carbonizzati, il film è pervaso da un febbricitante senso d'urgenza nel raccontare un instabile crocevia di umanità nell'imperante disumanità circostante.

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    Un commento

    • The Flowers of War è ampiamente il peggior film di Yimou, tracimante retorica ad ogni fotogramma. A parte questo, un excursus interessante su un regista oggi controverso per la sua adesione piena al regime