"Il cinema è quel sogno che si sogna tutti assieme" – Addio a Gilbert Adair

Gilbert Adair
Ci ha lasciato all'età di 64 anni lo scrittore, giornalista e critico cinematografico Gilbert Adair. Sentieri selvaggi lo incontrò in occasione della pubblicazione della traduzione italiana del suo romanzo The Dreamers. Con l'occasione ripubblichiamo l'intervista , del 15 ottobre 2003

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In contemporanea all'uscita di The Dreamers piomba nelle librerie, pubblicato da Rizzoli, il romanzo omonimo di Gilbert Adair a cui il film si ispira. Voluto da Bertolucci come sceneggiatore, nonché presente sul set durante le riprese, Adair è definito nell'edizione italiana "osservatore culturale". Dietro questa formula si cela un giornalista (attualmente scrive per l'Indipendent on Sunday), autore di alcuni romanzi, tra cui Love and Death on Long Island (1998), Buenos Noches, Buenos Aires (2003), saggi sul cinema come Night at the Pictures: Ten Decades of British Film (1985) e Jean Cocteau (1997), e sulla letteratura.
 
 
The Dreamers è una riscrittura del suo primo romanzo The Holy Innocents, pubblicato nel 1988 di ispirazione autobiografica, in cui Adair, nato in Inghilterra, ripercorre attraverso Matthew la sua "visione" del "Maggio '68", che gli ha cambiato completamente la vita.
Nonostante il taglio "alla Warhol" sia ormai imbiancato, nelle parole di Gilbert, cinefilo da sempre (e ovviamente amante del cinema di Bertolucci), traspare tutta la soddisfazione per la riuscita del film e per l'esperienza di lavorare al fianco del suo "compagno" Bertolucci.
 

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 Il romanzo The Dreamers, appena pubblicato in Italia oltre al titolo del film ne adatta la locandina a copertina: ha riscritto l'opera originale del 1988 dopo aver lavorato con Bertolucci?

 
E' andata in questo modo. Io ho scritto il mio primo romanzo, era il 1988, ma quando è uscito io ero scontento per tanti motivi. Del resto per me era un libro importante, in parte autobiografico, nel senso che rievoca gli eventi di Parigi del maggio '68 a cui avevo preso parte direttamente, quindi ero anche abbastanza adirato con me stesso, mi sembrava di aver buttato via un occasione per fare qualcosa di veramente interessante. Di lì a poco il mio agente ha cominciato a chiamarmi per dirmi che molti produttori lo avevano contattato per chiedergli i diritti del mio romanzo; lui era molto contento, io molto meno, anzi non volevo proprio. Volevo impedire che il mio romanzo fosse utilizzato perché non ero contento dei risultati. Gli ho anche detto "non mi chiamare più per chiedermi questo"; e non è facile dire no a un produttore cinematografico, ci sono di mezzo i soldi, il prestigio, la rinuncia all'attesa che ci può essere per un film e che oggi non si sviluppa più per un romanzo… Ma gli dissi di lasciar perdere.
Un giorno mi chiama e mi dice "Gilbert ti devo dire una cosa…", "No, non me la dire", risposi subito, ma lui continuò: "Te lo devo assolutamente dire, c'è un regista che mi ha chiesto i diritti e questo regista è Bertolucci …". Attimo di silenzio e poi mi è scattato nello testa un interruttore… Certo! Chi altro se non Bertolucci. Tanti dei temi del romanzo sono sempre stati temi del suo cinema, nessun altro poteva fare questo film meglio di lui, mi piaceva che fosse lui a renderlo in immagini.
Così ho iniziato questo processo molto inconsueto, forse unico. Un processo di riscrittura, scandito come sempre: io scrivevo a segmenti la sceneggiatura e la spedivo o la passavo, perché Bernardo ha anche una casa a Londra. Nel tempo che lui impiegava a leggere le parti che aveva ricevuto prima che ci incontrassimo per discuterle io pensavo a riscrivere il mio romanzo. In questo modo ho fatto qualcosa di abbastanza strano, questa non una versione romanzata del film, ho voluto che fossero due cose completamente diverse. Come i due protagonisti francesi sono gemelli ma non sono identici, dico che il mio romanzo e il film di Bernardo sono gemelli ma non identici.
 
Il primo titolo del suo libro, nell'edizione dell'88, era The Holy Innocents… La parola "holy" (saccro) può legarsi allo "spirito" che Bertolucci infonde al film…un senso di sacralità, che spesso sfocia o proviene dal "rito", elementi propri della poesia che oggi pare essere scomparsa…
 

Si è vero, il titolo originale conteneva la parola holy anche se una delle prime cose che Bertolucci mi ha chiesto di cambiare, lo ha fatto con molta delicatezza, quasi scusandosi,  è stato il titolo. Io in realtà sono stato contentissimo, perché come ho detto ero disposto a distruggere tutta la mia prima versione del romanzo. Nel mio caso però la parola holy era un omaggio a Cocteau, perché il suo Les Enfants Terribles era stato tradotto in inglese The Holy Terrors. Mi sembrava che i miei tre personaggi e la loro storia avessero qualcosa in comune con i protagonisti dì Cocteau.

Riguardo al senso di sacralità, se intesa come quella dei calendari e dei santi non c'entra niente. Noi abbiamo pensato a questo titolo The Dreamers perché si avvicina molto alla nostra visione del '68 come sogno collettivo e Cocteau stesso, d'altra parte aveva detto una cosa simile sul cinema: "Il cinema è quel sogno che si sogna tutti assieme" e per noi questo è stato il '68.

 

 

Con "sacralità" e "rito" si intendeva l'aura, una "essenza spirituale" che avvolge le cose e che il '68, anche nel film, ricercava… Oggi non esistono concerti come quelli dei Doors o di Hendrix in cui la star diventa una sorta di sciamano…né si gioca a rivivere delle scene di film, quindi a ricrearne le atmosfere…

 

Nel finale che io avevo originariamente scelto, volevo che Matthew più vecchio commentasse le immagini sullo schermo e si rendesse conto che era esattamente come voleva essere… Oggi invece, ancor di più dopo l'11 settembre 2001, che passi per televisione un discorso di Bush o le immagini di un massacro in Ruanda, è sempre la stessa cosa, tutto sembra aver perso ogni "senso di segretezza" (sense of secret), ogni mistero. Nel '68, al contrario, cercavamo di infondere a tutto un senso nascosto, stabilivamo rapporti con i film o i dischi di tipo quasi religioso…infondevamo a tutto la nostra passione. Mi sarebbe piaciuto che alla fine i tre ragazzi si ritrovassero alla Cinemateque a vedere Gioventù Bruciata (forse perché ci sono anche nel film di Ray tre ragazzi), e Matthew si rendesse conto di quanto è cambiato attraverso l'urlo che è nel finale…se si vede adesso quel film in televisione l'effetto non cambia rispetto a un reality show o una pubblicità… Benjamin parla di questo "sense of secret" che si è perso…

 

Dicendo "aura" il riferimento era proprio al concetto di Walter Benjamin… Sembra che oggi non ci siano più poeti, Bertolucci è un "isolato"…

 

Beh poeti del cinema si, della letteratura forse no. Oggi è tutto ad un secondo livello, virgolettato, perché sembra che la gente sia imbarazzata dalla realtà nuda e cruda.

 

 

C'è una parafrasi del quadro di Munch Urlo dove l'immagine è chiusa tra virgolette perché altrimenti avrebbe un impatto troppo violento. Ecco per me il film di Bertolucci è un film senza ironia in questo senso, non c'è questo stacco ironico, le virgolette, ed è per questo che imbarazza.

Anche The Dreamers è pieno di citazioni, da Godard a Sam Fuller,  ma nelle scene nell'appartamento, che occupano la maggior parte, Bernardo è li con loro, vicino, mai distaccato.  Se mai c'è un distacco ironico è con i genitori ma mai con i ragazzi, già quando ci presenta il padre, sorta di pallone gonfiato, uomo che possiede solo sicurezze, che discute con loro durante la cena, lo spettatore è spinto a prendere le posizioni dei giovani.

 

 

Anche quando i genitori rientrano nel finale e li trovano nudi sotto la tenda…

 

Si. In quel caso avevamo girato una lunga scena con dialoghi tra i ragazzi che sono strati trovati nudi sotto la tenda e i genitori ma poi abbiamo deciso di tagliarla. Una decisione strana forse, ma presa proprio perché non volevamo avvicinarci troppo agli adulti, volevamo lasciare questo senso di mistero e stare totalmente dalla parte dei ragazzi.

 

 

L'elemento della casa che caratterizza molti film di Bertolucci era già nel suo primo romanzo?

 

Si ma nell'originale era addirittura troppo claustrofobico, tanto che io a un certo punto faccio uscire i ragazzi per un week-end, per aprire un po' come fanno molti registi. La seconda versione invece è più concentrata nell'appartamento, avevamo girato anche più scene del '68 da mettere all'inizio e alla fine ma poi Bernardo ha deciso di toglierle per evitare la spettacolarizzazione dei fatti e concentrarsi sulla storia del film. Io personalmente sono molto claustrofobico, non prendo neanche l'ascensore però la claustrofobia di questo appartamento è una claustrofobia erotica, fra l'utero e il fatto di essere a letto con qualcuno, quindi è anche molto positiva, coccola.

 

 

L'ambientazione "in interni" sembra unire i protagonisti del film con le generazioni attuali che in casa hanno tutto: cinema, dischi…internet…

 

Si, infatti alla fine c'è una battuta di Isabelle "…è dovuta venire la strada…". Loro erano incapaci di scendere in strada e quella pietra che sfonda il vetro li costringe ad uscire… Come un paracadute che anziché catapultare fuori dall'aereo li porta nella storia, tra la gente. Impone ai giovani protagonisti di fare i conti con gli altri, ma lì comincia la claustrofobia della folla.

 

Pubblicata il 15/3/2003

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