Il Cinema non è un pranzo di gala: Mimmo Calopresti per Cinema di Quartiere
L’ultimo appuntamento con Cinema di Quartiere, con il contributo della Regione Lazio, è un dibattito sul film L’Abbuffata e sul presente e il futuro del cinema secondo il regista Mimmo Calopresti
L’ultimo incontro per il ciclo Cinema di Quartiere, organizzato da Sentieri Selvaggi con il contributo della Regione Lazio, ha avuto come ospite il regista Mimmo Calopresti. Oltre ad annunciare una masterclass di regia che prenderà il via dal 30 marzo, l’incontro è stato un’occasione per dibattere di svariati argomenti inerenti al film di Calopresti L’Abbuffata, giungendo ad analizzare la natura dell’industria cinematografica. La Roma felliniana protagonista assoluta del mosaico di personaggi ed eventi diretto dal regista calabrese da il via alla discussione. L’idea di Calopresti è quella di “mischiare gli attori con abitanti comuni che popolano i quartieri”, creando un autentico tutt’uno tra documentario e finzione senza soluzione di continuità che sottolinea una passione accesa per il cinema di Federico Fellini, in cui il sogno si mescola con la realtà. Il cineasta, inoltre, “si appella all’importanza di preservare Cinecittà”, luogo felliniano di culto sia per il cinema italiano sia per le cinematografie internazionali.
Sembra che si voglia trovare un anello di congiunzione tra un cinema corsaro e uno maggiormente istituzionalizzato, e in ciò la scena della morte di Gerard Depardieu ne L’abbuffata è emblematica: “È come se fosse tutto finito”, dice Calopresti, “un regista viene sempre sostituito da altri autori”.
Con il passare delle domande si arriva a rintracciare il termine principale che racchiude un po’ tutta l’idea di cinema di Calopresti. Ossia quella voglia di “libertà” implicita a ogni inquadratura, a ogni scena e a ogni dialogo de L’Abbuffata. I momenti di ilarità dissacrante, di scene dal vago gusto grottesco che abbattono il muro del politicamente corretto, sono le correnti ricercate dal regista, come dimostra una sequenza del film con un cieco che fa da guida turistica in giro per Roma. La stessa funzione della sala va intesa come un luogo di libertà, e proprio per questo è errato istituzionalizzarla, proprio per la sua natura ludica.
Immancabile il quesito su ciò che sarà il futuro dei cinema fisici. Le sale, sostiene Calopresti, non scompariranno, tuttavia impareranno a convivere con le nuove modalità di fruizione online. Alcune tipologie di sale avranno un ruolo “da Luna Park”, proiettando film blockbuster pronti a ingolosire il grande pubblico. Le sale d’essai, invece, continueranno a identificarsi in quel cinema più di nicchia che risponde alle esigenze della cinefilia appassionata. Il discorso si sposta sulla fruizione streaming. Calopresti difende la politica di questi canali online citando come esempio Roma di Alfonso Cuarón. Il film vincitore del concorso di Venezia75 si distingue per la sua duplice anima: da una parte abbiamo un film sostenuto da una piattaforma che sembrerebbe distante dalle produzioni più autoriali, dall’altra è proprio grazie al colosso dello streaming che Cuarón ha potuto realizzare un film fortemente autobiografico e non adatto a un vasto pubblico per via di una durata fuori dal comune, anche per le pellicole netflixiane. Tramite queste nuove piattaforme il cinema può diventare nuovamente più libero e meno limitato da restrizioni, ritornando al problema chiave di tutto l’incontro, la libertà del fare cinema.
Calopresti considera il lavoro del cineasta come un inferno: “non ti puoi confrontare con il paradiso ma con l’inferno se vuoi fare cinema”. Bisogna combattere per realizzare un proprio film. Parafrasando una celebre frase di Mao Tse Tung: “il cinema non è un pranzo di gala”.
Il dibattito si estende con un paragone tra lo stato del cinema nel 2007, anno di uscita de L’abbuffata, e il panorama attuale. Non si tratta di un abbassamento di qualità, la polemica risiede piuttosto sul fatto che si “fanno sempre gli stessi film, sono le Film Commission a decidere i luoghi in cui girare”, conclude Calopresti.