Il colore della libertà, di Barry Alexander Brown
La carica emotiva viene sopraffatta dallo stesso racconto che impartisce più una lezione piuttosto che raccontare il manifesto per la rivoluzione.
Non pochi film recenti si sono concentrati sul tema della lotta al razzismo e le sue controversie, specialmente tra quelli ambientati nei primi anni sessanta, gli anni del Ku Klux Klan e delle battaglie fondamentali che hanno posto fine alla segregazione razziale.
Alcuni di questi titoli sono riusciti a trovare la propria idea di cinema e prospettiva originale di denuncia al razzismo, da Green Book a BlacKkKlansman a Judas and the Black Messiah. Altri invece si sono accontentati di rimanere all’interno delle convenzioni prestabilite, come Il diritto di opporsi e Il diritto di contare, e anche se queste storie possono essere nuove ai più, non lo è il modo in cui vengono raccontate. Ognuna di esse può però essere letta come una lotta molto personale alla discriminazione in genere, ognuna focalizzata su una sua diversa facciata, ed è proprio qui che si colloca anche Il colore della libertà.
Il film vuole prendere in esame concetti potenti, a partire da una Rosa Parks – rimasta anche troppo al margine – che soffoca un urlo esprimendo un concetto ancora oggi prezioso e necessario: “non scegliere è una scelta”. È questa la frase chiave dell’opera, che da subito suggerisce quale sia la facciata della discriminazione di cui vuole narrare: quella di chi rimane a guardare, diventando indirettamente il carnefice; perché, allora come oggi, le battaglie dei discriminati appartengono tanto ai neri quanto ai bianchi.
È stato necessario il coraggio e l’appoggio di un bianco qualunque dell’Alabama, tale Bob Zellner, per portare avanti una ribellione che inneggiava al cambiamento immediato; un’idea contemporanea che ha continuamente bisogno di essere rimarcata.
Ispirato da Martin Luther King Jr. e da Rosa Parks – ma, come racconterà in seguito, anche da suo padre – Il colore della Libertà, tratto dal celebre libro di memorie The Wrong Side of Murder Creek: A White Southerner in the Freedom Movement dello stesso Bob Zellner e Constance Curry, gira intorno alla storia di un ragazzo bianco dell’Alabama e nipote diretto di un membro anziano del Ku Klux Klan che, ritrovatosi a fare i conti con una realtà cruda e ingiusta, capisce l’importanza di manifestare il proprio pensiero, appoggiando la comunità nera, agendo attivamente e inserendosi al centro del movimento per i diritti umani. La vera particolarità che fa risaltare il film si trova infatti in quest’idea di narrazione, in cui Bob Zellner, ritrovatosi a dover scegliere da che parte stare nella storia; in quanto bianco, non si erge infatti a paladino, evitando dunque di rubare la scena al contesto razziale e alla lotta dei neri che con dolore, coraggio, costanza e sacrifico hanno portato alla fine della segregazione razziale.
Cinema civile che rimane più sociale che politico, e che nell’esserlo tocca tutte e tre le forme temporali – passato, presente e futuro – inseguendo il modello di Spike Lee, di cui Barry Alexander Brown è il montatore, cercando di portare in auge la verità su quelle battaglie avvenute nell’America razzista e di cui ancora oggi è giusto si parli.
Il presente prende forma in narrazioni voltate al passato, tra immagine filmica e immagini di repertorio che servono a ricordare quanto di ciò che si sta raccontando sia (stata) realtà e non finzione, stando attento a raccontare minuziosamente tutte le vicende biografiche realmente accadute.
Ma Il colore della libertà è, e rimane, uno di quei film civili che più volte hanno attraversato lo schermo, dove ci si indigna, si partecipa e si provano emozioni, quando di rabbia, quando commoventi – anche se qua la carica emotiva viene sopraffatta dallo stesso racconto – che fa da insegnante cercando di impartire una lezione; peccato che poi suoni la campanella e tutti tornino a casa.
E questo è probabilmente il punto focale ma anche quello debole. E per quanto certe scene siano indispensabili, come quelle in cui si prende in causa l’indottrinamento, non sono abbastanza forti per dar vita a un “manifesto per la rivoluzione” rimanendo solo quello che è, un racconto biografico.
Titolo originale: Son of the South
Regista: Barry Alexander Brown
Interpreti: Lucas Till, Lucy Hale, Lex Scott Davis, Julia Ormond, Cedric The Entertainer, Sharonne Lanier, Brian Dennehy, Chaka Forman
Distribuzione: Notorious Pictures
Durata: 105′
Origine: USA, 2020