"Il comandante e la cicogna", di Silvio Soldini
Il film del regista milanese, nel suo tentativo di volare, non ritrova quello spirito aereo di Pane e tulipani. L'impressione è quella di una libertà apparente dietro una costruzione stavolta troppo ricercata e intasata di citazioni, oggetti e arguzie dove gli squarci migliori sono quelli più realistici
Possono esserci modi diversi per raccontare la crisi nel cinema di Silvio Soldini. Dall'approccio più realistico di Giorni e nuvole e Cosa voglio di più, a quello invece sospeso quasi nelle zone di una 'commedia morale e onirica' come Il comandante e la cicogna. I segni del disagio economico sono presenti, per esempop nella figura dell'artista sognatrice Diana (Alba Rohrwacher) o del suo padrone di casa Amanzio (Giuseppe Battiston) che vive in un appartamento con oggetti accumulati e vocabolari di lingue diverse per ogni occorrenza, o nell'accordo che l'idraulico Leo (Valerio Mastandrea) deve fare con il truffaldino avvocato Malaffano (Luca Zingaretti) per far rimuovere delle foto compromettenti della figlia in rete.
Stavolta il cinema Soldini lo fa dall'alto. Dal volo di una cicogna, dagli occhi di una statua, sembra di vedere attraverso i loro occhi le istantanee di una città (frammenti di Torino che si mescolano con quelli di Milano), quasi degli sguardi silenziosi (il primo) o giudicantio (il secondo) del degrado dela nostra civiltà.
La commedia di Il comandante e la cicogna (scritta dal regista assieme alla fedele Doriama Leondeff e a Marco Pettenello), vorrebbe essere leggera e profonda, concreta e sognatrice, ma si ha l'impressione che proprio questo continuo gioco di opposti non si riesca ad amalgamare. Vorrebbe volare ma qui non ritrova quello spirito aereo di Pane e tulipani, ma piutoosto è più vicina a quella soffocante rarefazione di Agata e la tempesta. Certo rispetto al film del 2000 è cambiato il cinema e cambiato il paese e forse quel tipo di 'realismo magico' non si può più mettere in atto. L'impressione qui però è solo quello di una libertà apparente dietro una costruzione stavolta troppo ricercata (i personaggi che parlano un dialetto diverso, il trucco che le trasforma in delle maschere del nostro tempo pur essendo sempre riconoscibili) e intasata di citazioni ("La calma è una vigliaccheria dell'anima" da Tolstoj) , oggetti ("I dolori del giovane Werther"), arguzie ("Van Gogh ' grande artista ma pessimo inquilino"), con cadute piuttosto anomale per Soldini (i genitori del ragazzo che ha messo il video in rete che bussano alla porta di Leo con dei doni per fargli ritirare la denuncia). E soprattutto dalle voci delle statue come quelle di Garibaldi, Verdi e Leopardi che non si crea quella dimensione fantastica dove ciò che è inanimato prende vita (rispetto invece a Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli) e ciò è evidente anche negli incontri notturni di Leo con la moglie Teresa (Claudia Gerini), in cui si sentono soltanto quelle tracce di quel tocco che il cinema del regista spesso ci ha abituato.
Forse alla fine gli squarci migliori di Il comandante e la cicogna sono presenti quando il film si abbassa e ritorna a terra, con quella dimensione domestica tra Leo e i figli, con riunioni di famiglia,dove l'accento napoletano di Mastandrea risulta quello più credibile e unico segno concreto, ben vicino ai riusciti ultimi due film del regista milanese, che però rimpicciolisce in un'astrattezza non casuale ma ben pensata e ricreata, ma decisamente troppo dispersiva.
Regia: Silvio Soldini
Interpreti: Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Claudia Gerini, Luca Zingaretti, Maria Paiato, Luca Dirodi, Serena Pinto
Distribuzione: Warner Bros.
Durata: 108'
Origine: Italia, 2012