Il commissario Pelissier, di Claude Sautet

Polar malato attraversato da una tragica predestinazione, com Michel Piccoli e Romy Schneider che sembrano tornare dai luoghi di L’amante. Uno dei magici respiri del polar. Oggi, ore 17.05, Iris

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Quasi un ritorno a L’amante. Con la stessa atmosfera di predestinazione. Di un amore tragicamente finito. A un anno da quel film Claude Sautet ancora con Michel Piccoli e Romy Schneider. In un polar malato e disincantato, con le musiche di Philippe Sarde, abituale collaboratore del regista che aveva esordito proprio con L’amante – che poi segnerà il genere con le sue colonne sonore come nel caso di L’evaso (1971) di Pierre Granier-Deferre, Due contro la città (1973) di José Giovanni ed Esecutore oltre la legge (1974) di Georges Lautner.

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Nanterre. Max Pelissier (Michel Piccoli), un ex giudice diventato poliziotto, ha l’ossessione di catturare i criminali in flagranza di reato. Dopo aver incontrato Abel (Bernard Fresson), un vecchio legionario che ora ha una banda sgangherata che commette dei piccoli crimini, gli viene l’idea di indurlo a cercare di puntare più in alto e rapinare una banda. Poi, fingendosi un altra persona, avvicina Lily (Romy Schneider), una prostituta che è la donna di Abel. Ma finisce per innamorarsi di lei.

il commissario pelissier françois périer bernard fressonTratto dal romanzo di Claude Néron (anche autore della sceneggiatura assieme allo stesso Sautet e Jean-Loup Labadie a cui si aggiunge Sandro Continenza per l’edizione italiana), Il commissario Pelissier segna il ritorno del regista al poliziesco dopo Asfalto che scotta (1960) e Corpo a corpo (1964). E tutto il film è permeato da quell’atmosfera di immanente fatalità (che sembra arrivare da Dostoevskij) che è già annunciata dall’inizio con il commissario (Georges Wilson) che ripercorre tutta la vicenda di Pelissier in cui inizia un flashback che dura quasi come tutto il film.

Sautet è abilissimo a lavorare sui tempi morti. Accumula i dettagli per costruire meticolosamente la scena della rapina. E in questo, appare fulminante e fortemente incisiva l’osservazione realistica della banda dei rapinatori, che sono come spiate da un altro occhio (anche quello della polizia nel finale) e accompagnate dalla voce-off del commissario della loro zona, interpretato da François Périer. E il titolo originale gioca in effetti sul rapporto tra Max e questo gruppo (Max et les ferrailleurs), ladri di auto e di metalli. Le immagini della loro quotidianità, come squarci di un documentario sulla malavita. Un respiro dei tanti del polar francese degli anni ’70, in una stagione indimenticabile. Dove il luogo (in questo caso Nanterre) diventa un altro deterministico punto di osservazione.

il commissario pelissierE poi c’è tutto un altro squarcio, quella passionalità trattenuta a fatica del cinema del regista, caotico e magico nel filmare la seduzione. Romy Schneider entra in scena dopo mezz’ora. La sua immagine, originariamente osservata da lontano, già diventa un lampo improvviso che fa prendere al film ancora un’altra marcia. Con ancora uno sguardo off che, all’inizio la guarda, che è quello di Max. In un altra storia d’amore destinata a finire male. Ed è proprio per questo, come in L’amante, che ogni gesto, ogni sprazzo di gioia o di infelicità diventa decisivo. Come per catturare e afferrare più dettagli di immagini che già diventano memoria. I soldi sul tavolo, il cappello in testa, una mano tolta dalle spalle. Con sguardi che si cercano per non perdersi mai. per una follia d’amore che diventa esplosiva nel finale.

Titolo originale: Max et les ferrailleurs

Regia: Claude Sautet

Interpreti: Michel Piccoli, Romy Schneider, Bernard Fresson, François Périer, Georges Wilson

Durata: 125′

Origine: Francia/Italia 1971

Genere: Poliziesco

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