“Il divo è mille volte più avanti dei politici e dei critici” – Conversazione con Roberto Silvestri

iniziamo una serie di incontri sulla questione Festivalcl 5 domande sul Fare Festival di cinema oggi che porremo ai principali operatori del settore.

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Cos’è cambiato nel panorama in cui si fanno i Festival? Cosa è rimasto della grande stagione dei Festival sviluppatasi negli Anni 70/80 sulla spinta dell’Associazionismo Culturale e dei Cineclub? E’ ancora attuale? Per chi e perché si fanno oggi i Festival? A quale urgenza rispondono (se c’è ancora un’urgenza…)?

Io partirei dalla Germania che fa un Festival orribile ma ha un sistema sensorio sui film meraviglioso. Il modello tedesco permette di avere a livello di sperimentalismo, cartoni animati, cinema d’avanguardia, ecc…, una serie di sistemi che socializzano questo materiale attraverso la scuola, la televisione, i cineclub – sia universitari sia privati – che ancora fanno programmi straordinari. Quando poi a Berlino c’è un film di un regista filippino che ha fatto un solo lungometraggio ma che tutti conoscono, tutti vanno a vederlo, riempiono le sale e questo diventa un divo, ecco questo è il segno di un sistema maturo, che produce conoscenza, informazione, che produce desiderio sul cinema. Forse il finanziamento enorme che Berlino ha non è adeguato a questa ricchezza, almeno nei suoi punti forti, a differenza del sistema francese che riesce ad articolare bene la conoscenza del cinema a livello scolastico, dei media, delle sale cinematografiche, ma anche a livello di festival. In Germania e Francia c’è una specie di situazione piramidale, con una buona base e il finish che può essere dato dal grande festival. E poi a livello locale ci sono altre manifestazioni molto importanti e soprattutto c’è un sistema di sale che fa si che i film vengano distribuiti, si possano vedere. In Italia tutto questo non esiste: non c’è la scuola, non c’è la scuola di cinema che funziona, non c’è una televisione adeguata, non c’è la distribuzione di film italiani “opere prime”. E’ drammatico: negli ultimi tempi i film italiani non escono, devono inventarsi dei sistemi pazzeschi per pagare 3-4000 euro alle sale per farsi prendere il film per una settimana, alcuni hanno avuto questa bella idea di pre-vendere su Internet i biglietti, per poter finanziarsi l’accesso nelle sale. E’ una situazione che sta persino peggiorando ed è per questo che ormai gli assessorati alla cultura, di tutte le regioni, che danno soldi per fare dei festival sono una specie di “santi”… Sono le uniche possibilità che si ha in Italia di far circolare del materiale audiovisivo decente. Per cui i festival dovrebbero aumentare d’importanza, ma più al livello orizzontale che verticale. Poi però è arrivata la Festa di Roma che ha avuto un effetto molto forte….

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Bene, sei andato da solo alla seconda domanda! Il nuovo modello emerso dalla Festa del Cinema di Roma, con la sua forte impronta politico/spettacolare, nasce da un progetto politico preciso o è puramente espressione del mutato scenario culturale?

La Festa di Roma è importante perchè per la prima volta si è riusciti a “sfondare” sui meccanismi di finanziamento non pubblici, ma anche privati, a livello serio, ovvero le Camere di Commercio. Un sistema che in Francia funziona già da molti anni, dove le Camere di Commercio sono dietro tutte le grandi manifestazioni di cinema locali finanziando festival femministi, africani, ecc… perchè il cinema è anche un grosso investimento turistico commerciale. In Italia  questa cosa era sempre stata bloccata, forse da legislazioni e impedimenti vari che facevano sì che le camere di commercio non potessero o dovessero finanziare. Roma ha dimostrato che questo non è vero. Le grandi “Notti bianche” hanno dato il via e quindi sono arrivati improvvisamente finanziamenti che superavano addirittura quelli di Venezia che era la nostra Istituzione Cinematografica più finanziata. Parliamo però di finanziamenti che sono ridicoli a livello internazionale perchè 10/11 milioni di euro non sono che il budget di manifestazioni come Dubai o come Il Cairo che non hanno certo questo prestigio internazionale, ma sembrano soprattutto fatti da regimi che hanno bisogno di esibirsi. Non c’è lo stesso investimento di Cannes o Berlino. Comunque con la Festa di Roma c’è stata la scossa e ci si è posti il problema di inserire i festival dentro un qualcosa di più vasto che non fossero soltanto le passioni degli appassionati di cinema…

Questo modello quando ha modificato l’idea stessa della formula del Festival?

E’ un modello avanzato, popolare e moderno di uso del cinema oltre l’approccio cinefilo oppure, al contrario, è un uso del cinema arretrato, populista e fortemente televisivo/mediatico?

Purtroppo non riesce ad essere nemmeno populista. Il vero errore della prima edizione della Festa di Roma è stato quello di promettere qualcosa che era esageratamente avanzato, come il fatto di riuscire a parlare direttamente al pubblico e non ai mediatori del pubblico, i critici e addetti ai lavori… Il che sarebbe stato magnifico: riuscire a fare una manifestazione approfittando di un pubblico piuttosto preparato (perchè ormai home video, internet, ecc… rendono un ragazzino di14 anni più competente di uno studioso di cinema di 80 anni, perchè la tecnologia gli dà tutto e subito…) e in qualche modo scavalcando “i vigili urbani dell’immaginario”. Come idea è eccezionale! Poi però nel momento in cui sottostai alla spada di Damocle di una Camera di Commercio che è più pesante di quella che pensi e che “ramazza” metà dei biglietti, per cui la gente non può andare nelle sale che sono dedicate al pubblico, allora trovi subito una contraddizione tra un modello liberista di mercato “fantastico” antistatalista, e invece le sopravvivenze del feudalesimo nostrano. Probabilmente il disegno era ottimo ma non per la realtà sociale economica di Roma, con tutte le incrostazioni secolari che impediscono di fare quello che in una qualunque altra città, come Londra o New York, funziona perfettamente. Fai un programma di 300 film, metti in vendita i biglietti per tutti in un momento e li vendi davvero. La gente è motivata e fa file lunghissime per andare vederli, e invece a Roma i biglietti erano venduti già il giorno prima che iniziasse il festival, venduti a persone che non gli interessava neanche di andare a vedere i film…

Insomma si possono fare queste cose quando hai una struttura scolastica/divulgativa con biblioteche e cineteche funzionanti, quando il dibattito viene favorito, quando si sa che oggi in Thailandia avvengono le cose migliori e tutti ne discutono in tv in prima serata… ma se tutto questo non succede non è moderno…è soltanto demagogico. Se questa cosa rientra dentro un progetto serio di cinema per cui si dà la casa ad Alberto Grifi prima di fare una sezione in più della Festa di Roma e l’opinione pubblica sa di tutto questo. Anche perchè c’è davvero il problema dei meccanismi mediatici che sono assolutamente falsari: Torino e Pesaro sono due esempi di festival importanti a livello internazionale e che in Italia quasi non esistono, perchè non c’è questa mediazione “alta” da parte dei giornali.

Una cosa molto carina che ha detto Alberto Barbera è stata “che ci importa a noi che il manifesto recensisce i film di Torino? ” ha ragione… E’ evidente che se un festival viene socializzato attraverso organi minoritari è come se non esistesse…

Quanto è proponibile e accettabile oggi, a livello politico, un modello di sviluppo culturale legato all’evento-festival che sia pura espressione delle istanze di ricerca artistica, della trasversalità degli immaginari, delle poetiche e delle istanze culturali provenienti dal “basso” e da realtà autonome, ovvero non legate direttamente con i centri della politica, delle istituzioni e dei canali di comunicazione di massa?

E’ possibile, ma si deve partire, come partì Nicolini negli anni settanta dai vettori attivi. Una delle polemiche con la Festa di Roma è stata sul fatto che pur disponendo in vari settori dell’immaginario cinematografico cittadino di nuclei operativi molto alti e avanzati,  questi soggetti non siano stati immediatamente presi e messi in grado di lavorare seriamente. Questo avrebbe innalzato e reso importante la Festa di Roma, qualcosa che riutilizzava questo lavoro di anni, capillare e che fa si per esempio che a Berlino, oggi, quando c’è un film Yiddsh degli anni trenta la gente fa a pugni per andarlo a vedere….

Non c’è stata l’abilità di capire che devi agire sui “sollecitatori di desiderio professionisti”, e non su quel ceto utilizzato che è abbastanza staccato dal consumo…

Una delle cose più inquietanti della Festa del cinema è stata la definizione ripetuta più volte, di voler creare un nuovo pubblico. Le manifestazioni dell’estate romana utilizzarono un pubblico che si stava formando attraverso realtà di base che emergevano in varie forme autonome, indipendenti. L’idea di creare dall’alto un nuovo pubblico, non dà l’idea di un qualcosa di autoritario…?

Si, da una parte è vero, ma se fosse stata condotta bene l’operazione di Di Caprio a Tor Bella Monaca sarebbe stato magnifico. Un intervento serio di un attore serio e preparato (come quasi tutti i divi che hanno portato – e che hanno tutti sprecato – che a livello culturale hanno da dire più di tutti i nostri politici), se avesse avuto un’ora di tempo per parlare con le persone che stanno nelle periferie e che anche loro ne hanno da dire e sanno cose che sono molto interessanti, beh, sarebbe stato straordinario, differenziandosi da Cannes o Berlino dove questi divi passano nel delirio inutile. I divi sono veri personaggi importanti della contemporaneità. Fanno operazioni molto complesse che richiedono un general intellect…Il divo è mille volte più avanti dei politici e dei critici. Non a caso è divo, è un punto di riferimento popolare altissimo, che non è inventato dal mercato ma che è decretato dal consumo. Ma una cosa è Di Caprio che spiega l’Africa come viene “sottosviluppata” dall’Occidente,  altro è questo spreco di divi, con questo blitz da marines, dove lo portano gli fanno dire due cose e lo riportano via: questo non crea nuovo pubblico questo anzi distrugge pubblico vecchio…

Partendo dal presupposto che un festival è un organismo dispendioso, in che modo la politica può e deve intervenire sulla gestione del Festival? Qual è il limite all’autonomia di chi gestisce un festival e fino a che punto la politica in quanto amministratrice di finanziamenti pubblici può e deve intervenire sulla gestione diretta dei Festival? In altre parole: un festival si fa perché ci sono i finanziamenti o i finanziamenti servono a fare il festival? Viene prima l’identità del festival o quella dei committenti? E’ il problema di questi giorni….

Se un politico tira fuori i soldi lo fa perchè deve avere dagli artisti una contropartita, e la contropartita è che gli artisti siano liberi di fare quello che vogliono, perchè questo è utile per i politici.  Le “nouvelle vague” nascono più o meno nel 1958, anticipando di dieci anni quello che i politici avrebbero avuto tutto i tempo di studiarsi prima per non essere travolti dal ’68. Bisogna lasciare che gli artisti siano liberi di spiegare – non la realtà –  ma quali sono i processi interiori della realtà e quello che sta avvenendo. il politico ha tutto l’interesse a pagare moltissimo affinché le manifestazioni siano più libere possibili, una volta che naturalmente che capiscano quale sia la macchina capace di comprendere meglio i movimenti interiori di una società. Si può passare da Steve Della Casa a Turgiliatto perchè pensi che quell’esperimento sia meglio. Ma una volta che li hai scelti non devi interferire. E non devi sopratutto guidare il processo artistico. Vedo molto male la costituzione di un Associazione guidata da un Senatore della Repubblica che controlli una Festa del cinema, che la controlli come direzione, nei criteri generali di accettazione e scelta dei film.

Tutto questo ha avuto origine da quella famigerata legge di Veltroni, quando era ministro della cultura, che ha fatto si che adesso il Direttore della Mostra di Venezia venga indicato dal Ministro dei Beni culturali. Credo che lì debbano fare un passo indietro e far si che le istituzioni culturali abbiano la maggiore autonomia possibile.

Quanto è importante oggi per un Festival saper fare seriamente comunicazione? E’ divenuto centrale nell’ideazione stessa di un festival di Cinema la sua capacità di auto-promuoversi? E poi: cosa determina il “successo” di un festival? Il numero di spettatori presenti alle proiezioni oppure il numero di lettori/spettatori/utenti che lo seguono attraverso i vari mass media? Ovvero, la sua capacità di entrare in risonanza con le istanze del pubblico della città che lo ospita oppure con un pubblico più ampio che segue ormai gli eventi culturali anche a distanza attraverso i media?

Una delle cose che ha scritto recentemente Steve della Casa a proposito delle retrospettive di un festival è che dovrebbero avere un carattere di “contemporaneità”. Ma cosa vuol dire? Tu fai un grosso investimento, per esempio per Aldrich. Ma che lo fai a fare se i grandi media non se ne occupano perchè la persona è morta e non c’è l’oggetto della retrospettiva? Ed ecco il paradosso di Venezia con la vittoria di un regista cosi importante e cosi sconosciuto ai media, di cui non hanno parlato e il cui film ovviamente nessuno ha visto. Ma se tu non hai una scuola e un immaginario che si occupa normalmente di queste cose, se tu sei stato emarginato – come Paese – dal punto di vista della conoscenza del cinema mondiale da molto tempo, è molto difficile che riesci ad ottenere quello che dovrebbe fare il successo di un grande festival, ovvero un buon clima organizzativo, stare bene, riuscire a prendere i biglietti, vedere i film che vuoi vedere, avere la possibilità di farli vedere più volte, entusiasmarsi per le nuove scoperte. E allo tesso tempo riuscire ad avere una grande capacita di presenza mediatica. E’ chiaro che un festival deve avere tutte queste componenti. Un pubblico vero, una stampa e un eco televisivo più autentico possibile. Ma siamo in un paese che ha massacrato tutto questo…

Fuori dalle domande dell’inchiesta…secondo te come va a finire a Torino?

Da quello che mi ha detto Steve Della Casa tra qualche giorno lui e Barbera daranno il programma  del Festival del Cinema di Torino e Rondolino darà il programma del Torino Film Festival….

Davvero arriveranno a presentare due festival?

Se devo credere più all’istinto mi sembra che Chiamparino sarebbe pazzo a fare due festival e quindi cercherà di fare in modo che rientri il dissidio. Secondo me sarebbe anche abbastanza semplice perché l’Associazione Cinema Giovani è quella che in questi anni ha avuto il compito di organizzare quel festival, ha creato tutti i direttori, dentro l’associazione c’erano fino a pochi giorni fa tutti, da Barbera a Della Casa, Turigliatto, ecc… credo che questa Associazione, che tra l’altro perderà Rondolino tra un paio d’anni per motivi di età, sia il luogo giusto per decidere, non le istituzioni come Il Museo del Cinema o come la Film Commission, che sono strutture che non dovrebbero avere niente a che fare con un festival. Si, ci sono altri esempi di Musei che gestiscono Festival, come Il Lincoln Center che fa il New York Film Festival, ma credo che lì la situazione è diversa perchè non c’è un ingerenza diretta dei politici, in quanto il Lincoln Center ha molti sponsor privati, ha tutte altre caratteristiche e soprattutto la maturità del ceto politico americano fa si che l’apporto dell’arte sia sempre considerata importante purché non ci si metta le mani dentro, questo è il modello. Invece da come hanno presentato qui la questione sembrerebbe che il Museo del cinema, la Film Commission e l’Assessorato diventino un po’ i controllori di questa cosa, portandola a un disinteresse totale. Anche i nomi che abbiamo sentito sono abbastanza poco interessanti, dopo l’idea forte di Moretti, gestita male giocata male..

Secondo te non è più ricomponibile con Moretti?

Io spero lo sia, ma soltanto se Moretti capisce che attraverso la sua scesa in campo generosa lui ha ricompattato una situazione che stava per esplodere, se lui si rende conto che è stato utile anche il suo gesto di accettazione cosi spontaneo e di presa di distanza cosi motivata. Se Moretti si rende conto che può recuperare questa forza straordinaria di Torino, che ha al suo interno quattro dei migliori studiosi di cinema e organizzatori di Festival del Mondo, non uno ma quattro! Potrebbero essere uno a Venezia, uno a Cannes, uno a Berlino, uno a Locarno… Se lui si rende conto che può ricomporre questo casino perchè no? Ne uscirebbe fuori vittorioso a tutti i livelli.

La visione ottimista è che Moretti torna, che resta Giulia D’Agnolo come esperta dell’area americana e Roberto Turigliatto come tutore dei grandi autori dimenticati e maltrattati. Semmai se c’è una critica da fare all’edizione dello scorso anno era questa mancanza di baricentro sul Concorso, che forse Moretti potrebbe risolvere, perchè un programma cosi firmato ha già di per se una forza mediatica e diventerebbero immediatamente dei film che tutti vogliono vedere.

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