Il fenomeno Gabby e il cinema per bambini
Il nuovo film sulla “piccola” Gabby cavalca il successo dei prodotti cinematografici per l’infanzia nati sui web o per lo streaming, a scapito di produzioni più classiche come la Pixar
“La televisione ha ucciso l’infanzia” scriveva Neil Postman negli anni ‘80, amareggiandosi davanti alla nascita di un mezzo per tutti, senza segreti o filtri, ma solo un unico nebuloso spettatore collettivo. La TV, dopo i primi tempi della missione didattica in veste di “bene” pubblico, è diventata poi sempre più sfuggente e orientata alla maggioranza (più che alla moltitudine) quando sono nate le reti private. Sarà per questo che, volendo prendersi ognuno la fetta più grande, i broadcaster hanno inventato il target, e forse i primi canali tv dedicati al giovane pubblico hanno finito proprio per ravvivarla, questa famigerata infanzia.
Junior TV (1985), Disney Channel (1998) e Cartoon Network (1996) e i più recenti Boing (2004) e Rai Yoyo (2006) sono tutti figli della Tv dei ragazzi, sforzi eguali di conquistare la maggioranza. Non siamo lontani dalla politica delle piattaforme oggi – le home Netflix e Prime Video hanno una specifica sezione bambini, per non parlare poi di Disney Plus – e dalle traiettorie del boxoffice in sala.
Nella Top Ten mondiale del 2025, cinque titoli su dieci sono film per famiglie (Ne Zha – L’ascesa del guerriero di fuoco, Lilo & Stitch, Un Film Minecraft, Dragon Trainer, I Fantastici Quattro – Gli Inizi). E sembra che il cinema, come la televisione quarant’anni fa, tenga ancora a mente la forza del giovane pubblico in sala.
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L’ultimo caso è quello de La casa delle bambole di Gabby, primo film tratto dall’omonima serie targata DreamWorks Animation (e proprio su Netflix ha vissuto le sue recenti glorie) sulla piccola e tenera Gabby, bambina di undici anni che vive favolose avventure con i suoi amici gatti.
Dall’uscita in sala del 26 settembre la commedia sulle peripezie di Gabby ha incassato ben 21 milioni di dollari negli Stati Uniti, che salgono fino a 32 se si considera il box office internazionale. I numeri, chiari e insindacabili, sottolineano la complicità tra sala e famiglie, negli Usa quanto in Italia, dove i lavori dei Me Contro Te (franchise a tutti gli effetti) attirano pubblico ormai da anni. Ad accomunarli a La casa delle bambole di Gabby, le origini extra-cinematografiche – rispettivamente il web e la serialità streaming – come a voler rendere sempre più lampante il flop di prodotti pensati per l’infanzia (come i recenti film Pixar Soul, Luca o Elio) e indirizzati alla sala cinematografica.
Ma qual è allora il risvolto della medaglia? Il cinema per i bambini oggi non conosce flop, ma solo personaggi che si fanno brand, volti ingabbiati in quella sindrome di Peter Pan nata con i vari Disney Channel e Nickelodeon: fabbriche (divoratrici) di talenti negli anni 2000, piccole icone fin troppo giovani per essere altro al di fuori della solare Hannah Montana di Miley Cirius o la dolce Lizzie McGuire di Hilary Duff.
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Congelate nei contorni del piccolo schermo, hanno scelto immagini quanto più distanti dai loro fasti televisivi. E così la diciassettenne Laila Lockhart Kraner nelle vesti di Gabby si muove sempre più sul filo del rasoio quando strizza le orecchiette da gatto per miniaturizzarsi nel suo cartoon ed entrare nella sdolcinata casa di bambole. E l’effetto, in questa schiera di bambine (ormai) adulte, assomiglia tanto alla rinascita dell’infanzia nei nostri giorni.




















