"Il film è stato una scommessa" – incontro con Marina Spada

Parla Marina Spada del suo ultimo film. Una scommessa fatta in prima persona, un’opera che tra i rimandi ad Antonioni e una Milano vuota e inedita, cerca di ritrarre, in maniera molto personale, la solitudine e il vuoto interiore di una donna.

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Come è nato questo film, quali percorsi ha seguito per essere realizzato?

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Marina Spada – Il film è stato una scommessa. E’ nato dalla sceneggiatura che mi ha regalato un amico, Daniele Maggioni. Per realizzarlo ho fatto un mutuo e poi grazie ad alcuni produttori che hanno creduto nel progetto (Francesco Pamphili, di film Kairos, su tutti) sono riuscita a portare a termine il mio progetto. Il film è stato girato con una semplice mini-dv, poi per il passaggio a Venezia è stato riversato su pellicola. L’altra scommessa, adesso, è quella della distribuzione in sala. Facciamo affidamento soprattutto sulla stampa, perché faccia conoscere questa storia in giro.

Nel suo film appare una Milano diversa, vuota, quasi una città fantasma, cosa si nasconde dietro questa scelta?

MS – Milano è una delle protagoniste del film, non solo lo sfondo della storia, ma un luogo che riflette gli stati d’animo dei personaggi. L’ambiente è infatti il riflesso di chi ci vive. Ho rivolto l’occhio della macchina da presa verso l’architettura media di questa città, non cercando però elementi che la facessero riconoscere subito. Ho infranto in questo modo l’uniformità dell’immagine urbana, piena di tanti solidi, quelle forme geometriche (i palazzi) che sembrano richiamarsi di città in città. Milano è vuota perché riflette la solitudine della protagonista. Per me tutte le persone sono dietro le finestre a controllare il territorio, in modo da controllare la propria paura.

Quali sono stati i suoi modelli registici di riferimento nel realizzare questa pellicola?

Antonioni prima di tutti. E’ un regista che amo molto e che ogni volta che riguardo sembra dirmi qualcosa di nuovo. Tra le altre cose è uno di quei registi che ha girato molto a Milano. Poi c’è Godard e un film, Millenium Mambo.

Come ha lavorato per costruire il suo personaggio?

Anita Kravos – E’ stata una sfida. Il personaggio che interpreto non tende a manifestare in maniera diretta le sue emozioni. E’ più il racconto, che attraverso le immagini, riesce ad esprimere gli stati d’animo dei personaggi. In un certo senso questa storia parla di un cambiamento, di un modo per riuscire a infrangere la propria solitudine. Ho sentito che il mio personaggio si trovasse come sotto vuoto, lontano da tutti ed è stato molto interessante interpretarlo.

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