Il flauto, di Luciano Capponi

Il Flauto

Nel secondo capitolo della trilogia di Capponi iniziata con Butterfly Zone del 2009, un aldilà-manicomio-giardino degli ulivi dove la globalizzazione è riuscita a insidiarsi e dove la foga di esser “qualcosa di diverso” penalizza una base interessante.

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Il FlautoCose di un altro pianeta. Se Troisi in rappresentanza napoletana si era trovato catapultato alle soglie dell’età moderna, Gennaro Es(c)posito (Patrizio Oliva, il grande campione di pugilato italiano), netturbino, è finito nella terra di mezzo, quella in cui le anime dei morti attendono di essere rispedite in nuovi corpi. A differenza delle anime platoniche che, prima della metempsicosi, hanno bisogno di bere le acque del fiume Lete per dimenticare, quelle di Capponi (che firma regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio e musiche) hanno già dimenticato e proprio per questo vengono sfruttate a fini commerciali da una multinazionale gestita da una bizzarra razza aliena che le tiene segregate in quello che sembra essere a tutti gli effetti un  manicomio – che poi veniamo presto a sapere essere un corpo organico. E’ una colonia penale (di kafkiana memoria) dove la notte non esiste e dove tuttavia riuscirà a nascere un amore.

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Il film è il secondo capitolo di una trilogia dell’aldilà iniziata con Butterfly Zone nel 2009, in cui l’altra realtà veniva raggiunta grazie ad una speciale bottiglia di vino, sorseggiando la quale due amici si ritrovavano in un bizzarro mondo abitato da una misteriosa setta con tanto di servizi segreti deviati, che ricordano i medici alieni de Il Ffauto.

E’ un film indipendente, tutti hanno partecipato gratis, dichiaratamente fuori da qualsiasi “storia intimista, nevrotica, nera, hard, come pare il momento richieda”, ha dichiarato il regista nel pressbook. E tuttavia la foga di “essere diverso” penalizza una base interessante. Laddove semplicità e ristrettezza economica potrebbero rimanere nascoste e magari diventare motore immobile di idee e soluzioni ingegnose, emergono invece in superficie fino ad imporsi: è quello che succede con gli abbondanti effetti speciali in computer graphic, a volte stridenti, volti a giustificare una tecnologia aliena che poi come risultato tratteggia, in realtà, un immaginario pretecnolgico, simile alla fantascienza anni ’80.

Il ritmo del film è costante, non subendo mai accelerazioni – se non forse nei minuti finali – si perde un po’ nella lunghezza che sarebbe potuta esser ridotta, favorendo anche gli attori, la maggior parte dei quali devono fare i conti con la mancanza di esperienza. Patrizio Oliva sfugge a ciò: i suoi lineamenti duri, che lo rendono uno splendente Pulcinella senza maschera, lasciano venir fuori un dolce cantastorie.

Inoltre, si potrebbe fare uno studio iconologico del film, che gronda di riferimenti a tutta la cultura di base dell’italiano medio: Troisi, Totò (il film è dichiaratamente ispirato a La livella), Platone, la storia biblica (impossibile non scambiare il set con il giardino del Getsemani, e ancora un chiaro riferimento all’ultima cena, alla madonna), Kafka, Napoli (pizza, musica e simpatia).

Dunque una favola, una critica sociale contro la globalizzazione che incastra le nostre esistenze anche nell’aldilà, adatta “al popolo e ai bambini”, un’ode all’amore e alla musica (l’idea della trasformazione di Cristo in flauto che dà il titolo al film è probabilmente la più interessante).


 

Regia: Luciano Capponi

Interpreti: Patrizio Oliva, Francesca Ferri, Mister Lei, Totonno Chiappetta, Loredana Trombetta, Sonia Di Pascali, Giuseppe Franco, Fausto Saponara, Sante Ceci, Pietro Daniele Aldovrandi, Marina Provenzano, Manilo Guadagni, Stefano D’Angelo, Irene Soldano

Distribuzione: Il Flauto s.r.l.

Durata: 98’

Origine: Italia, 2013

 

 

 

 

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