"Il fratello grande" di Aleksei Balabanov

Balabanov non lavora tanto sul perimetro corporeo della distanza, ma invade un campo evidentemente non suo, omologando la visione al più piatto dei livelli. I suoi gangster appaiono sin troppo inseriti nell'economia generale del racconto, sparano/ corrono/ muoiono come in mille altri film americani

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L'opera di Balabanov è il seguito di un suo film precedente, Brother, ma la questione ci interessa sino a un certo punto. Sarebbe interessante parlare una buona volta del cinema russo attuale, facendoci tante belle domande, del tipo: dove sta andando, quali direttive segue, quali sono gli autori in grado di imporsi all'attenzione con sguardo nuovi, ma al tempo stesso in grado di recuperare la lezione del passato. Col film di Balabanov l'impresa fallisce in partenza e anche miseramente, visti i presupposti base con cui fare i conti. Se non fosse per quell'inizio frastornante a Mosca, di russo nel film ci sarebbe (c'è) davvero poco. Non cercavamo la solita cartolina o peggio ancora l'operetta di denuncia sociale contro un certo stato delle cose, ma una visione che ci dicesse qualcosa su un certo sentimento del reale calato in una prospettiva diversa, e, se vogliamo, snaturante. Quando il protagonista dell'opera si reca a New York per vendicare l'uccisione di un suo amico, lo scarto spaziale Russia/America resta avvolto in una spirale assolutamente concentrica e ovvia che non risolve mai la spinta centrifuga, ma che la immobilizza in una stasi dormiente in cui emerge subito un senso, un significato, una valenza ultra-descrittiva con cui fare i conti sin dai primi momenti. Balabanov non lavora tanto sul perimetro corporeo della distanza, ma invade un campo evidentemente non suo, omologando la visione al più piatto dei livelli, quello che per l'appunto fuoriesce dai margini stretti del testo. I suoi gangster appaiono sin troppo inseriti nell'economia generale del racconto, sparano/corrono/muoiono come in mille altri film americani, e si ricordano d'essere russi soltanto per esibirsi in frecciatine (attenzione, solo e soltanto verbali) contro la grande Terra dei Sogni in cui si trovano. Ecco dunque qual è il proposito filmico di opere come questa: sfruttare una certa estetica ormai acquisita e per certi versi automatica, cambiando poi le carte in regola sul piano dell'espressione, ma soltanto all'interno della configurazione espressiva scritta. Sembreremmo tornati alla malfamata palude dei film risolti a tavolino (in fase di sceneggiatura naturalmente) e certo è che in questo inizio stagione Balbanov non è il primo a cimentarsi in vecchiume del genere (basti pensare a Lagaan); la questione è quella di rifiutare a priori quel cinema che si rifiuta a sua volta alla visione, quell'espressione filmica che culmina sempre (è il caso di Il fratello grande) nel trionfo esasperato di uno schema in cui intrappolare quelle viscere del reale che si sono evocate sullo schermo. Bisogna trovare il coraggio di immaginare che le cose possano andare in modo diverso. E fare del cinema (anche di quello marginale come l'opera di Balabanov) lo strumento primario di questo svelamento.

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Titolo originale: Brat 2
Regia: Aleksei Balabanov
Sceneggiatura: Aleksei Balabanov
Fotografia: Sergei Astakhov
Montaggio: Marina Lipartiya
Musica: Vyacheslav Butusov
Scenografia: Aleksei Gilyarevsky
Costumi: Laura Darner, Nadezhda Vasilyeva
Interpreti: Sergei Bodrov jr. (Danila Bagrov), Viktor Sukhorukov (Viktor, fratello di Bagrov), Alexander Diachenko (Kostya/Mitya), Sergei Makovetskii (Belkin), Irina Saltykova (se stessa), Kirill Pirogov (Il'ia), Daria Lesnikova (Dasha-Marilyn), Gary Houston (Menace), Liza Jeffrey (Liza)
Produzione: Sergei Selyanov per Kinokompania STV, con RTR
Distribuzione: Fandango
Durata: 122'
Origine: Russia, 2000

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    Un commento

    • Se lei non è in grado di calcolare l'area del campo non suo, dati il perimetro corporeo della distanza diviso sparano, fratto muoiono, fratto corrono, non vedo perché prendersela con il povero Balabanov