"Il Gioiellino", di Andrea Molaioli

Remo Girone Il Gioiellino MolaioliIl Gioiellino mette in scena senza troppi filtri la storia dell’ascesa e della rovinosa disfatta della Parmalat, dagli anni d’oro del boom finanziario sino al crac datato 2003. Ma se Molaioli evidentemente vuole rifarsi ad una stagione di impegno civile che riecheggi autori come Petri o Rosi (qui citato Il Caso Mattei), allora la sua regia mimetica risulta troppo apertamente al servizio di una sceneggiatura dettagliatissima e intasata di fatti. Il cinema, purtroppo, ha qui il fiato molto corto

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Il GioiellinoBisognerebbe seriamente iniziare a ragionare sull’incidenza forte che i giovani produttori italiani hanno ricominciato ad avere sulle produzioni che mettono in cantiere. Il meccanismo autoriale che quarant’anni fa faceva riconoscere senza ombra di dubbio il marchio di fabbrica di un produttore piuttosto che di un altro, pian piano si sta ripresentando con i risvolti positivi e negativi del caso. E non solo con il “tradizionale” De Laurentiis, ma anche con i giovani e prolifici Domenico Procacci (riconoscibilissimo lo stile Fandango) e Nicola Giuliano (Indigo Film). Ecco, questo Il Gioiellino è un film Indigo fino al midollo: dalla sceneggiatura di ferro intessuta da forti connotazioni sociali, sino ad arrivare ad un comparto tecnico di realizzatori oramai affiatato che imprime un mood visibilissimo alle opere di diversi registi. E quindi Teho Teardo compositore delle musiche, Luca Bigazzi direttore della fotografia, Giogiò Franchini al montaggio video e Silvia Moraes al suono: insomma la squadra di Nicola Giuliano e Paolo Sorrentino al gran completo, questa volta alle prese con il secondo attesissimo film da regista di Andrea Molaioli dopo i tanti riconoscimenti ottenuti con La ragazza del lago. E, intendiamoci, il supporto tecnico è di ottimo livello come sempre, solo che dopo qualche anno e parecchi film alle spalle tende forse a ripetersi un po’ troppo rischiando il déjà vu: la fotografia contrastata e sovraesposta, le ellissi sonore scandite dalla musica sincopata e gli stacchi fulminei di montaggio ad interrompere il tutto.

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Tornando a questo film, Il Gioiellino mette in scena senza troppi filtri la vera storia dell’ascesa e della rovinosa disfatta dell’imprenditore Calisto Tanzi (anche se non vengono mai usati i nomi reali o i luoghi effettivi dei fatti): dai trionfi commerciali dei primi anni novanta con l’imperialismo finanziario verso i terreni vergini dell’est Europa, sino alle voragini di bilancio occultate dalla cosiddetta finanza creativa e al crac Parmalat (“Leda” nel film) datato 2003. E ovviamente ci si trova di fronte ad una massiccia serie di stereotipi sull’Italia odierna, intessuta di arrivismo e mezzucci, di belle ragazze e corruzioni, di squadre di calcio vincenti e banche che tirano le fila occultamente. «Tanto il falso in bilancio non è più un reato» come afferma anche una semplice segretaria. Ricapitoliamo: comparto tecnico di primordine e storia di stretta attualità e pregnanza sociale. Cosa manca quindi? Forse questa volta ad arrancare è proprio il cinema. Se Molaioli evidentemente vuole rifarsi ad una stagione di impegno civile che riecheggi autori come PetriRemo Girone ne Il Gioiellino o Rosi (qui citato Il Caso Mattei), allora la sua regia risulta troppo apertamente appiattita su una sceneggiatura dettagliatissima e intasata di fatti, dove a latitare purtroppo è il sano respiro filmico. I personaggi sono come caratteri bloccati sui quali risulta terribilmente difficile “investire” emotivamente. E il film fila liscio senza infamia e senza lode, ripresentando con pochi guizzi ciò che le cronache degli ultimi anni ci hanno ampiamente abituato ad ascoltare. Il regista insomma non si “schiera” mai: da una parte non riesce a sublimare la Storia attraverso forti deformazioni cinematografiche che la rendano pregna di vero pathos (come in parte riesce a fare lo stesso Sorrentino) e dall’altra non tenta mai di incidere la carne viva dell’immagine filmica con la potenza brutale del secco dato reale, che è prerogativa di un autore come Daniele Gaglianone. Si galleggia insomma dalla parti di una placida sterilità emotiva, figlia di una messa in scena mimetica che non ha mai il coraggio di rischiare prendendo di petto la storia narrata. E guarda caso ci si affida quasi interamente al nutrito cast di attori: in primis al magnetico Remo Girone e poi alla solita robusta interpretazione di Toni Servillo, che però sembra ormai cronicamente ingabbiato nei panni di uno stesso personaggio (uomo solo, oppresso da un incerto passato, scorbutico e insofferente verso il presente) ripresentato ciclicamente con differenti sfumature. Ecco che, a conti fatti, questo Gioiellino risulta francamente troppo pensato, troppo lavorato, troppo “risolto” per poter splendere sul serio di luce propria…   

 

Regia: Andrea Molaioli

Interpreti: Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Fausto Maria Sciarappa, Lino Guanciale, Renato Carpentieri, Vanessa Compagnucci 

Distribuzione: BIM

Durata: 110'

Origine: Italia, 2011

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