"Il grande match", di Gerardo Olivares
Olivares guarda altrove: l’umanità, le facce, il gioco infinito del cinema. L’immanenza dello spazio si fa immagine sterminata e musica – le due carte vincenti di un film piccolo, semplice, leggero e godibile
La salvezza è nel movimento. Almeno secondo Gerardo Olivares, alla sua seconda regia per il cinema dopo il documentario Caravana. L’immanenza dello spazio si fa immagine sterminata e musica: queste le due carte vincenti di un film piccolo, semplice, leggero e godibile.
Le steppe solitarie e poco accoglienti della Mongolia diventano lo sfondo di un western in salsa centroasiatica e regalano alla pellicola le sue scene migliori – coinvolgenti, affascinanti per il loro potenziale di distanza, ignoto, desolazione percorsa da nomadi a cavallo. Le dune africane del deserto offrono più di una sorpresa: un albero che non ha niente a che fare con l’immagine mentale che ne avremmo, e un furgoncino carico oltre ogni immaginazione che spiazza lo sguardo con il suo carico umano e materiale di colori, urla e precarietà. In Brasile, il verde accecante della giungla è teatro di continui attraversamenti silenziosi. Avanti e indietro, dalla missione al villaggio, dal villaggio alla segheria, sfiorando la magnificenza di una natura che non ha bisogno di parlare. Tutti cercano – tutti tendono verso qualcosa…
A cosa serve un cavo satellitare in Amazzonia? Un’antenna in mezzo al deserto? Una presa di corrente nel nulla? Tre culture, tre lingue convergono sul richiamo di uno stesso evento – la finale Germania-Brasile del Mondiale
Titolo originale: La gran final
Regia: Gerardo Olivares
Interpreti: Atibou Aboubacar, Adalberto Jr., Ahmed Alansar, Tano Alansar, Abu Aldanish
Distribuzione: Mikado
Durata:
Origine: Spagna/Germania, 2006