Il grido, di Michelangelo Antonioni

Film cerniera che traghetta il cinema di Antonioni verso il neorealismo interiore. Il rapporto tra uomo e paesaggio socio-ambientale vive una dicotomia tra realtà mutevole e rigidità sentimentale.

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“I critici francesi hanno parlato di una nuova formula: il neorealismo interiore. Io non avevo mai pensato di dare un nome a quella che per me è sempre stata, fin dai tempi di quel documentario sui malati di mente, una necessità: guardare dentro l’uomo, quali sentimenti lo muovono, quali pensieri, nel suo cammino verso la felicità, l’infelicità o la morte. Certo è un film chiuso, difficile. Umile di una umiltà misteriosa ha scritto un critico. E forse è vero. Tempo fa io stesso l’ho rivisto e mi sono stupito di trovarmi di fronte a tanta nudità, a tanta solitudine come certe mattine quando la nostra faccia riflessa nello specchio ci spaventa”. Michelangelo Antonioni su Il grido

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Falsi movimenti. Un continuo avvitarsi su sé stessi per ritornare al punto di partenza. Il Grido è un vagabondare senza uno scopo e senza punti di riferimento. Né il lavoro, né l’amore, né il cielo. Antonioni dà una struttura narrativa alla sua prima opera documentaristica (Gente del Po, 1947) e coglie perfettamente la voragine che si apre tra la dinamicità del mondo circostante e la staticità di un vinto che più si muove più affonda nelle sabbie mobili.

Aldo (Steve Cochran) è l’operaio di un zuccherificio che viene lasciato dalla compagna Irma (Alida Valli) che vuole rifarsi una vita con un amante più giovane. Aldo prende con sé la figlia Rosina (Mirna Girardi) e inizia un viaggio on the road per le campagne ferraresi dove incontra diverse donne senza modificare il suo stato di solitudine interiore.

Antonioni sposta il male di vivere dalla classe borghese a quella proletaria e fa scivolare il suo protagonista dentro un cul de sac di azioni monche e sentimenti abortiti. Ogni incontro di Aldo non fa che riportarlo al suo stato di inadeguatezza: Elvia (Betsy Blair) è il passato amore di gioventù che è rimasta ad aspettarlo invano; la sorella di Elvia, Edera (Gabriella Pallotta), passa il tempo nelle balere per partecipare a concorsi di bellezza (Miss Tipo); la benzinaia Virginia (Dorian Gray qui doppiata da Monica Vitti) prova a trattenerne la caduta promettendogli vitto, alloggio e un amore disinteressato; la prostituta Andreina (Lynn Shaw) non fa che acuirne il dramma esistenziale riproponendo una vita ai margini.

Antonioni parte dalle lezione neorealista di Ladri di biciclette e Riso amaro e la trasfigura secondo la propria visione del mondo che è certo influenzata da certo cinema francese (Marcel Carné, Jean Renoir) e dalla letteratura decadente (la solitudine nel ritorno a casa e il realismo simbolico di tanta opera di Cesare Pavese, l’antiromanzo Novecentesco). Questa forte tensione autoriale, chiamata da alcuni critici “neorealismo interiore”, si manifesta in particolari inquadrature che simboleggiano l’estraneità di Aldo al mondo che sta attraversando: la sua figura fuori da una porta o da una finestra (con una croce che sembra dividerne la figura simmetricamente), la torre dello zuccherificio che si staglia minacciosa, la folla dei braccianti in rivolta inquadrata dall’alto, gli alberi abbattuti e l’iperrealismo hopperiano dei distributori di benzina in mezzo al nulla.

Anche le scelte musicali e fotografiche vanno nel senso del minimalismo: poche note di un piano malinconico (la musica è di Giovanni Fusco) e l’opacità del bianco e nero onirico di Gianni Di Venanzo. Il freddo e la nebbia creano un ambiente ostile cui si chiede una tregua con compromessi e illusioni: gli incontri di boxe, le corse coi motoscafi, le feste della domenica, il vino, il sesso. Anche la follia è una risposta reattiva: il gruppo di matti incontrato dalla piccola Rosina quando si perde nella campagna o il padre di Virginia che straparla e si attacca alla bottiglia di vino. Mentre i personaggi femminili si dimostrano vitali e cercano di sopravvivere ad un ambiente socialmente in trasformazione, Aldo è prosciugato di ogni risorsa interiore e nudo nella sua fragilità psichica. Il tradimento di Irma è messo platealmente in piazza nella famosa scena degli schiaffi (povera Alida Valli, erano ceffoni veri e la scena fu ripetuta più volte con temperature proibitive) e il tentativo di ritrovare la sessualità con Virginia viene stroncato sul nascere dallo sguardo colpevolizzante della piccola Rosina che rivive la scena primaria. Quando Aldo si libera della bambina mettendola sull’autobus per rimandarla alla madre in realtà sta alzando bandiera bianca ad ogni tentativo di cambiamento. Mentre i personaggi femminili si mettono in salvo sulla zattera di un progetto lavorativo o per la costruzione di un nuovo nucleo familiare, Aldo va letteralmente alla deriva in senso estetico-morale, distrutto come marito, come padre, come amante e persino come lavoratore.

Tutti i dialoghi del film tendono alla de-drammatizzazione in un processo di svuotamento della tensione drammatica che sottende la rarefazione delle strutture narrative. Questo processo troverà completamento nella trilogia dell’incomunicabilità (L’avventura, La notte, L’eclisse) e avrà il suo zenit in Blow-Up. Solo il grido di Irma spezza questo deserto interiore, facendo vibrare per un attimo l’ambiente circostante. Questo grido è la spia di un disagio che ha attraversato in maniera sotterranea tutte le immagini del film e che deriva principalmente da un attrito tra vecchio e nuovo, tra realtà mutevole e rigidità sentimentale. Un urlo munchiano in cui l’angoscia della morte si palesa per un istante per poi ritornare sottotraccia. Forse l’unica concessione di Antonioni alla esteriorizzazione del dramma, tutto vissuto interiormente. La realtà diventa un enigma impossibile da decifrare. Si innesta un processo di depersonalizzazione e derealizzazione. Tutto riprende a scorrere come prima, in un ciclo mortale in cui il progresso socio-economico non tiene conto delle identità psico-emozionali dei singoli individui. Il ritorno a casa , il Nostos, è in realtà un non ritorno, un definitivo disgregarsi e sparire, l’epitaffio ad ogni ulteriore possibilità di cambiamento.

 

Gran premio della critica al Festival di Locarno

 

Regia: Michelangelo Antonioni
Interpreti: Steve Cochran, Alida Valli, Betsy Blair, Dorian Gray, Gabriella Pallotta, Elli Parvo, Mirna Girardi, Lynn Shaw
Durata: 116′
Origine: Italia, 1957

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6
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Il voto dei lettori
4.33 (6 voti)
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