"Il ladro di orchidee" mi ha dato la possibilità di sperimentare nuovi aspetti di quello che è lo strumento del mio lavoro, cioè me stesso" -Intervista a Nicolas Cage

Venuto a Roma per presentare “Il ladro di orchidee”, Cage ci ha parlato non solo della coppia Kaufman-Jonze ma anche della sua carriera d'attore, della sua attività di regista e produttore e del nostro Marcello Mastroianni.

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I 'gemelli Kaufman' e Nicolas Cage. Ha ritrovato in loro qualcosa di suo? Le difficoltà che Charlie ha nel relazionarsi con gli altri le sente vicine?

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Quello che ho ritrovato di mio in Charlie, è senza dubbio il suo approccio verso le cose caratterizzato da un'autostima non troppo alta, il suo senso di inadeguatezza, e la sua tendenza ad andare mentalmente in loop, iniziando a fustigarsi e ad accusarsi di non essere capace a fare certe cose. È quello che a me capita ogni volta che comincio un nuovo film, quando penso di non essere in grado di farlo, di non saper affrontare al meglio il ruolo. Mi accomuna a Charlie anche il fatto che quando incontro le persone cerco di metterle il più possibile a loro agio, e allo stesso tempo faccio in modo di evitarle quando il mio stato non mi consente di accoglierle come vorrei. Di Donald invece ho ritrovato il desiderio infantile che ho ogni tanto di divertirmi, di essere anche sciocco, cercando di essere semplicemente felice di come stanno le cose in un dato momento e di godermele per quello che sono.


 


Lei ha detto in passato che esiste un confine sottile che separa l'attore dallo schizofrenico e in Il ladro di orchidee c'è un gioco di personalità multiple, quelle di Charlie e Donald Kaufman. Chi è lo schizofrenico tra lei e Kaufman ma soprattutto cosa pensa del lavoro di questo sceneggiatore emergente?


Prima di tutto vorrei chiarire che quando ho usato il termine schizofrenia non lo intendevo nella sua accezione medica. Mi riferivo piuttosto all'idea abbastanza comune per cui quando gli attori preparano i loro personaggi tentano sempre di assumere personalità differenti, atteggiamenti diversi nei confronti del mondo. La schizofrenia è invece una condizione molto dolorosa e non vorrei assolutamente che nessuno pensasse che la tratto così leggermente e la uso come esempio semplicistico, mancando di rispetto a chi ne soffre. Cambierei piuttosto il termine schizofrenia con quello di multiplicity, e in questo senso ritengo geniale l'idea avuta da Kaufman di inserire sé stesso nella sceneggiatura perché questo ha aggiunto tutta una serie di dimensioni alla storia, facendo diventare Il ladro di orchidee un vero e proprio film 'cubista', dotato di diversi livelli di lettura. Per quanto riguarda il mio giudizio su Charlie credo che lui sia un artista genuino e originale, anticonformista perché portatore di una visione del mondo davvero 'diversa', così come Spike d'altronde.


 

Secondo lei questa lettura a diversi livelli può costituire il pregio ma anche il difetto del film, nella sua affermazione presso il grande pubblico?


La sua idea di far scrivere la sceneggiatura a 'quattro mani' ai due gemelli, come ho detto prima credo sia una trovata assolutamente geniale che però, avendo un impatto molto forte sul pubblico, può anche arrivare a spiazzarlo. Sono d'accordo che questo film muovendosi a più livelli potrebbe non essere per tutti, ma allo stesso tempo penso che la cosa che rimane vera è che Spike e Charlie hanno creato con Il ladro di orchidee un nuovo mondo, un'esperienza davvero unica nell'ambito delle realizzazioni cinematografiche che conosciamo, una cosa a sé stante rispetto a tutto il resto. In questo senso mi auguro che possano sempre avere le soddisfazioni che si meritano.


 


Il ladro di orchidee rappresenta uno dei momenti più alti della sua carriera d'interprete, come si è preparato ai suoi 'ruoli'?


Non credo di poter essere io a dire che questa è stata la mia migliore interpretazione, sicuramente però è stata per me quella più challenging, quella che ha posto più sfide a me come attore, costituendo una nuova eccitante avventura che mi ha permesso di esplorare due personaggi distinti. Considerato poi che io mi vedo ancora come uno studente di recitazione, una persona che lavora anche per continuare a studiare 'sul campo', per me Il ladro di orchidee è stato un grande momento di apprendimento che mi ha dato la possibilità di sperimentare nuovi aspetti di quello che è lo strumento del mio lavoro, cioè me stesso. Nell'interpretare i due Kaufman ho tentato di aggiungere una nota surreale al Charlie che ho conosciuto nella realtà, di cui ho studiato il modo di parlare, di muoversi e di interagire con gli altri. Né io né Spike volevamo però riprodurre in maniera pedissequa il suo modo di essere, e quindi ho avuto buon gioco nell'aggiungere al 'personaggio' una dimensione astratta, ampliando la gamma dei suoi 'caratteri'. D'altronde mentre lo 'osservavo' Charlie non sapeva che poi sarei stato io a interpretarlo, quindi per me è stato più facile analizzarlo.

Dopo l'Oscar ottenuto per Via da Las Vegas ora lei si ritrova a competere con il 'macellaio' Day-Lewis, il grande favorito secondo molti, con i suoi Charlie e Donald Kaufman. Che cosa rappresenta concretamente questo premio per un attore? Quanto incide effettivamente sulla sua carriera?


Penso che sia in primo luogo un grande, bellissimo complimento essere in qualche modo riconosciuto da parte dei colleghi attori e delle altre persone della comunità cinematografica. Può anche essere utile nell'ottica di una diversificazione dell'offerta lavorativa che ti viene proposta dopo la vincita di un Oscar. Credo però che la cosa più importante non sia soffermarsi sull'Oscar dopo averlo vinto, pensandoci troppo e basando le future scelte lavorative in funzione della possibilità di vincerne un altro Questo potrebbe essere un elemento di corruzione nei confronti dell'espressione artistica dell'attore, io sono infatti dell'opinione che ogni film vada realizzato per venire incontro a quelle che sono le proprie esigenze artistiche, non per ottenere premi d'ogni sorta.


 


In questo film c'è anche la ricerca della vera passione della vita, in esso c'è una frase che dice "sono ciò che amo e non ciò che mi ama". Lei è d'accordo con questa affermazione e soprattutto lei ha trovato, al di fuori della sua professione, una passione?


Sono d'accordo con quello statement di natura filosofica perché implica la possibilità di amare senza l'aspettativa di essere necessariamente amati. Ci sono persone nella mia vita che ho amato, amo e continuerò ad amare senza attendermi nulla in cambio. Per me è più semplice pensare che se io amo qualcuno non è detto che questa persona mi debba amare. Per quanto riguarda le mie passioni penso invece che essendo attualmente single potrei presto appassionarmi agli elicotteri ma oltre a questi anche alle motociclette, alle macchine da corsa, ai treni: diciamo che amo molto l'arte 'del metallo' (ride).


 


Ci sono stati momenti in cui Spike è riuscito a metterla in imbarazzo sul set con qualcuna delle sue famose 'trovate'?


Ricordo che il primo giorno delle riprese quando sono arrivato sul set e ho visto la mia controfigura con le mutande calate a metà mi sono detto: "oh no, proprio il primo giorno!". Era la scena in cui dovevo masturbarmi! In ogni caso quando ho deciso di girare questo film sapevo cosa mi aspettasse e avevo anche capito di dover gettare la mia vanità fuori dalla finestra e di affidarmi a Spike senza farmi troppi problemi.

Tra i tanti personaggi interpretati nella sua carriera ce n'è qualcuno a cui lei è rimasto particolarmente legato? Che cosa prova rivedendo, se li rivede, i suoi film del passato?


Devo dire che ogni personaggio che ho interpretato costituisce una parte di me, sono tutti miei 'figli' e affermare di sentirmi più legato a uno di loro è come rischiare di far ingelosire tutti gli altri. Quando mi capita per caso di vedere in tv uno dei film in cui ho recitato, cosa che non accade spesso perché guardo la tv raramente, mi soffermo solo qualche minuto più che altro perché mi ricorda i posti in cui sono stato, le persone che ho incontrato e poi generalmente spengo perché non mi trovo molto a mio agio nel 'rivedere' il mio passato.


 


Le sue origini italiane l'hanno portata a interessarsi al nostro cinema. Cosa apprezza di più della nostra cinematografia?


Adoro il cinema italiano e amo moltissimo soprattutto Marcello Mastroianni e Federico Fellini. Mastroianni è un attore che ricopre un posto speciale nel mio immaginario cinematografico, un talento speciale, un uomo bello in tutti i sensi, una vera icona. Fellini è un regista straordinario con cui avrei tanto voluto poter lavorare. Tra i registi italiani di oggi, sarei molto felice di poter lavorare un giorno con Bernardo Bertolucci.


 


Con Sonny lei ha da poco debuttato nella regia, aggiungendo il suo nome a quello degli altri registi della famiglia Coppola, da Francis Ford a Sofia passando per Roman. Che cosa dobbiamo aspettarci da Sonny?


Dirigere Sonny è stata per me un'esperienza davvero entusiasmante perché mi ha dato la possibilità di continuare il mio 'processo d'apprendimento' d'attore, circondandomi di interpreti di talento come Harry Dean Stanton, James Franco, Brenda Blethyn e Mena Suvari, che ho avuto la possibilità di osservare ogni giorno sul set. L'argomento del film è piuttosto duro (un gigolò costretto dalla madre a lavorare), non adatto per il grande pubblico, negli Usa il film è stato nelle sale per tre giorni e poi è stato tolto e quindi non so proprio se riuscirà ad arrivare in Europa. In ogni caso sono molto orgoglioso di questo lavoro che ho fatto.

La sua carriera d'attore come procede? Dopo aver lavorato in Matchstick men di Ridley Scott pensa di tornare a collaborare con John Woo?


Nel film di Ridley interpreto il ruolo di una persona affetta da disturbi ossessivo-compulsivi che scopre di avere una figlia con cui tenterà di costruire un rapporto. I miei compagni di set sono stati Sam Rockwell e Alison Lohman, attori che stimo molto. Per quanto riguarda John Woo, eravamo arrivati molto vicini al realizzare un film sulla costruzione da parte degli operai cinesi delle ferrovie americane nel secolo scorso ma per ora non se n'è fatto nulla. Attualmente sono in attesa di un copione che indipendentemente dal fatto di essere un blockbuster, una commedia, o un film bizzarro deve riuscire, come quello di Charlie, veramente a piacermi.


 


Lei ha da poco prodotto The life of David Gale, un dramma contro la pena di morte che è stato apprezzato dai critici ma attaccato nel suo paese per le idee affermate. Cosa ne pensa di questi attacchi?


Cerco di tenere le mie idee politiche per me stesso ma nel mio lavoro cerco di esprimermi al meglio, quindi potrete capire la mia posizione su certi temi guardando il film .


 


Quale è stato il suo ruolo nel film? Le piace lavorare dietro le quinte come produttore?


In questo film sono stato coinvolto soprattutto all'inizio per farlo partire perché poi è stato Charles Randolph, l'autore della sceneggiatura, che ha gestito l'intera faccenda. Sono poi intervenuto nella fase di casting, quando ancora si parlava di Brad Pitt o George Clooney come protagonista ma poi alla fine l'ha interpretato Kevin Spacey che mi sembrava senza dubbio l'attore più giusto per il ruolo. L'esperienza di produttore mi ha sempre stimolato e mi permette di andare a scovare il talento delle persone, cosa per cui mi sento molto portato, e di poter fare in modo che le doti dei singoli possano emergere. Oltretutto come dicevo in precedenza questo mi permette di 'studiare' attori come Kevin, un regista come Alan Parker, e, nel mio precedente film da produttore L'ombra del vampiro, John Malkovich e Willem Dafoe.

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