Il lato oscuro delle macchine. La rappresentazione della tecnologia nel cinema italiano contemporaneo, fra processi simbolici e dinamiche sociali.

Una rappresentazione basata sul conflitto e sulla disfunzionalità tra l'uomo e le tecnologie, piuttosto che sulla cooperazione tipica dei film degli anni Cinquanta e Sessanta, offre spunti di riflessione sull'origine di quei "fantasmi" antitecnologici che si aggirano in tanto cinema italiano.

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IL LATO OSCURO DELLE MACCHINE


La rappresentazione della tecnologia nel cinema italiano contemporaneo, fra processi simbolici e dinamiche sociali.

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a cura di Gianni Canova


Carocci


finito di stampare nel settembre 2005


140 pag. – 14,80 euro.


 


 


Il modo di rappresentazione che il cinema italiano contemporaneo ha per lo più adottato nei confronti degli oggetti tecnologici (computer, Internet, telefonini cellulari, PlayStation) sembrano rovesciare il paradigma oggettuale codificato dalla tradizione narrativa di impianto favolistico. La struttura narrativa delle fiabe – come è noto – attribuisce infatti agli oggetti un potere magico: che siano sciabole o bastoni, anelli preziosi o tappeti volanti, gli oggetti della fiaba liberano chi li possiede dalla schiavitù del tempo, dello spazio, dei sensi, in un quadro basato su una relazione enfaticamente cooperativa. Nel cinema italiano dell'ultimo quarto di secolo accadde esattamente il contrario: non solo gli oggetti tecnologici sembrano privati di ogni virtù magico-taumaturgica, ma sembrano addirittura essere incapaci di svolgere la funzione per cui sono stati concepiti, progettati e realizzati, diventando protagonisti di conflitto invece che di cooperazione. Spesso l'oggetto si sottrae ai suoi compiti, rifiuta di essere strumento o protesi, funziona male o non funziona del tutto.


Questo quadro di disfunzionalità diffusa – censito ed evidenziato da tutti i saggi – risulta tanto più significativo se messo a confronto con l'atteggiamento che il cinema italiano ha assunto nei confronti della tecnologia negli anni Cinquanta e Sessanta.  Non si può fare a meno di notare come il cinema italiano celebrasse l'avvento della modernità tecnologica attraverso un vero e proprio processo di messinscena dell'addomesticamento delle tecnologie in un epos del frigorifero, della lavatrice e dello scooter. Oggi – tra computer che non si accendono, telefonini sempre spenti o irraggiungibili e videogames che fanno resistenza al destino di essere giocati – il cinema italiano sembra denunciare l'impossibile cooperazione con l'universo delle nuove tecnologie. Come se nel passaggio dalla modernità degli anni Sessanta alla postmodernità attuale il rapporto con la tecnologia fosse passato dal corteggiamento insistente ed ammirato alla presa d'atto di un ineluttabile condizione di amore impossibile. Come se l'integrazione fra umano e tecnologico, celebrata perseguita ad ogni costo qualche decennio fa, si fosse rivelata di colpo impraticabile o inopportuna. Tuttavia, proprio la tendenziale disfunzionalità delle tecnologie rappresentate dal cinema italiano contemporaneo finisce infatti per risultare a suo modo, paradossalmente, epifanica e rivelatrice almeno per due aspetti. Sul primo versante: il fatto che il cinema italiano abbia celebrato in passato le tecnologie domestiche e che non abbia fatto altrettanto con le attuali tecnologie comunicazionali rese possibili dalla rivoluzione digitale conferma l'idea che esso sia espressione di un sistema culturale che considera la tecnica come strumento utile a rafforzare il rapporto con le cose, con gli oggetti e con le merci, non le relazioni con e tra le persone. Detto in altri termini: nel cinema italiano la tecnologia serve tutt'al più in quanto protesi dell'io, non come incubatrice del noi. Anche nel rapporto con la tecnologia messa in scena e diegetizzato dal cinema italiano si riscontrano insomma forme simboliche e pratiche utilizzative che confermano il sostanziale individualismo che caratterizza da sempre la nostra storia e la nostra cultura.


Sul secondo versante: proprio la resistenza delle cose, il loro rifiuto ad essere considerate soltanto come protesi funzionali o come attrezzi strumentali, finisce per rivelare in realtà il loro specifico modo di esistere: solo nella scoperta dell'inidoneità che il mezzo ci sorprende, solo quando gli occhiali mi procurano disagio mi accorgo della loro natura di protesi e mi ricordo di loro. Insomma: per quanto inutili (o proprio perché inutili), gli oggetti tecnologici rappresentati dal cinema italiano contemporaneo finiscono per risultare, loro malgrado, indispensabili.


 


I cinque volumi della casa editrice "Carocci" che qui presentiamo sono pubblicati nell'ambito del Programma di Ricerca Cofinanziato "Le tecnologie del cinema. Le tecnologie nel cinema". Al progetto hanno partecipato diverse Università italiane. Il volume, in particolare, è il prodotto dell'attività di ricerca svolta dalla Libera Università IULM di Milano.

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