Il legionario, di Hleb Papou

Esordio al lungometraggio del cineastaa bielorusso naturalizzato italiano, miglior regista esordiente a Locarno 74 nella sezione Cineasti del Presente. Dal cortometraggio omonimo

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Il legionario è il primo lungometraggio del cineasta bielorusso naturalizzato italiano da undici anni, allievo del Centro Sperimentale, presentato nella sezione del Festival di Locarno “Cineasti del Presente” dove è stato premiato come miglior regista esordiente. Si tratta della versione lunga del cortometraggio omonimo passato alla Settimana della Critica di Venezia quattro anni fa. “Ciobar” è il soprannome affibbiato dai colleghi del Reparto Mobile all’unico poliziotto di colore della squadra anti sommosse. Figlio di seconda generazione è ormai da considerare un romano di Roma, con la sua cadenza accentuata e riconoscibile che cozza con il colore della pelle. La sua famiglia di scudi, caschi, manganelli e famelico spirito di appartenenza, sfociando nel corporativismo più estremo, ha il compito di sgomberare 150 famiglie, 480 persone, da un palazzo della Capitale, occupato abusivamente. Tutto sembrerebbe rientrare nella routine e nella prassi di questi tempi, per cui la casa continua ad essere un bene di lusso, un bene dal valore inestimabile, se non fosse che in quel palazzo ci vivano i famigliari di Ciobar, mamma e fratello con compagna e figlio piccolo. Ciobar dapprima prova in tutti modi a convincere il fratello ad accettare le proposte dell’amministrazione comunale ma presto si troverà costretto a rinunciare dinanzi all’ostinata e determinata opposizione dei suoi cari ad arrendersi. Ciobar è tra due fuochi, da una parte il suo lavoro e dall’altra i suoi affetti più grandi, l’attaccamento alla divisa e al suo comandante, di tendenze chiaramente destrorse, contro il richiamo del sangue. Ciobar in questa lotta interna farà anche “l’insider”, per certi versi, senza però mai rinunciare al ruolo di difensore della legge.

D’altronde non può certo cancellare il suo passato abusivista anche se oggi si ritrova sul versante opposto della barricata. Legionari multirazziali come quelli dell’Impero Romano in crisi, diretti da uno sguardo del futuro multietnico sempre più prepotente. Evidente anche la strizzatina d’occhio al cinema di Stefano Sollima, ma più ancora, si fa strada quella vena neo-realista che pompa linfa da ogni punto prospettico, dall’amore evidente per i poliziotteschi alla crescente tensione morale e materiale che invade lo schermo con una vicenda fortemente verosimile. Hleb Papou evita la retorica del caso, caratterizzando la storia e i personaggi senza caricature corazzate banalmente riconoscibili e fatalmente ammiccanti. La difesa strenua del proprio spazio e della propria dignità, permette a un esercito di mondi e di storie diverse di raccontare la propria storia, il proprio passato e soprattutto il proprio futuro. Non esistono case, solo il far casa. Solo un lunghissimo minuetto di addomesticamento reciproco di cose e persone. Quella casa, quel palazzo, quel riparo difeso, sono l’addomesticamento dei suoi interpreti per rendersi adatti al mondo in cui vivono e viceversa l’addomesticamento del mondo per trasformarlo in un abito, un dialetto, un costume, una divisa, che aderiscono ai corpi fino a confondersi con la propria indole, la propria anatomia, la propria immagine. Un po’ come lo sparring partner tipo Robocop, super-io che ti provoca sul ring con offese e ingiurie per prepararti al meglio agli scontri dell’anima, senza casco, quelli che la vita non risparmia.

 

Premio per il miglior regista esordiente al 74° Festival di Locarno nella sezione “Cineasti del presente”

 

Regia: Hleb Papou
Interpreti: Germano Gentile, Maurizio Bousso, Marco Falaguasta, Felicitè Mbezelè, Giancarlo Porcacchia, Ilir Jacellari, Simona Senzacqua, Hedy Krissane, Ina Gjika, Antonio Veneziano
Distribuzione: Fandango
Durata: 81′
Origine: Francia, Italia 2021

 

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
3.91 (22 voti)
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