Il miglio verde, di Frank Darabont

Tratto dal romanzo di King, è la quintessenza del cinema classico con il suo sguardo empatico e sognante che supera la realtà e la morte stessa. Oggi, su Sky Cinema Due, ore 21.15

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In Il miglio verde ci sono almeno due anime. La prima, e primaria, è indiscutibilmente Stephen King, un narratore così popolare e moderno che le sue opere sono già, in parte, cinematografiche – non sorprende che alcune siano state opzionate quand’ancora non erano state scritte. Lavora su molti generi oppure sarebbe meglio dire che il genere è solo una scusa per chi vuole vendere un prodotto per ciò che non è – si possono veramente definire con precisione romanzi/film come Carrie o Shining? In tal senso, come ha suggerito lo stesso King, non c’è tanta attinenza tra Le ali della libertà e Il miglio verde, al di là del contesto carcerario; anzi, aggiungiamo che la seconda è più assimilabile a creature come It per via di una quotidianità che viene sconquassata da un evento soprannaturale e di una coralità di personaggi, di cui finiamo col sentirci parte, che uniscono le forze per contrastare un male che in realtà è senza tempo e senza fine.

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Con Il miglio verde King si affida un’altra volta a Frank Darabont che, oltre ad aver portato sul grande schermo l’adattamento del racconto Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, da giovane aveva diretto un cortometraggio, The Woman in the Room, basato su uno dei primi successi commerciali di King. All’epoca Darabont non aveva una visione completa della storia – Il miglio verde in origine esce in sei volumi, una sorta di feuilleton o di esperimento sociale, che il regista adatta man mano, lasciando inalterato il simbolismo alla base. Così la vicenda personale di una guardia carceraria durante la Depressione (Tom Hanks) assume presto una connotazione mistica con l’arrivo di un condannato a morte (Michael Clarke Duncan) accusato di stupro e omicidio di due gemelline.

Il miglio verde è infatti una commistione di reale e metafisico: da un lato un sistema giudiziario che crede fermamente nei suoi metodi punitivi – la sedia elettrica; dall’altro una fede diversa, invisibile e forse inspiegabile. Qualcosa di simile era stato fatto da Jack London che nel suo ultimo romanzo, Il vagabondo delle stelle, fa vivere al protagonista, anch’egli detenuto in carcere, un’esperienza ultraterrena, un viaggio vero e proprio attraverso le sue vite passate. Certo qui viene meno l’accusa durissima che nel 1915 l’autore muove alle torture cui sono sottoposte queste persone e a chiunque abbracci il pensiero – una parte è interamente dedicata a dettagliare gli effetti che la camicia di forza ha sul corpo; in comune c’è quell’idea di sopravvivenza dello spirito umano anche in condizioni estreme che in Il miglio verde diventa un elemento meno filosofico e più fiabesco, tanto che il film potrebbe essere stato diretto da Spielberg. Non tanto per il volto rassicurante di Hanks che ha l’inconveniente di essere facilmente identificabile in un modello, quanto piuttosto per uno sguardo empatico e sognante che è poi l’essenza del cinema stesso. E Il miglio verde è la quintessenza di un cinema classico che potrebbe durare in eterno. Questa è la sua seconda anima, il potere cioè che le immagini possono avere sul pubblico e come si carichino di significati distaccati dalla realtà eppure superiori a essa. La morte sfida le leggi fisiche e sembra non esistere: il ggg Coffey e Mr. Jingles sono ancora lì, mentre Rogers e Astaire danzano per noi, sollevati da terra. We’re in heaven.

Titolo originale: The Green Mile
Regia: Frank Darabont
Interpreti: Tom Hanks, David Morse, Michael Clarke Duncan, Michael Jeter, James Cromwell
Durata: 189′
Origine: USA, 1999
Genere: drammatico, fantastico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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