“Il mio film? Una terapia per il pubblico omofobo” – Incontro con Sr?an Dragojevi? per THE PARADE
Il regista serbo ha presentato il suo film premiato alla Berlinale 2012 nella sezione Panorama. All’incontro è intervenuta anche Ginella Vocca, presidente del MedFilm Festival. "La struttura del mio film è simile a quella della commedia all’italiana, all’inizio lo spettatore si rilassa per poi avere una presa di coscienza nel finale"
Il regista e sceneggiatore serbo Sr?an Dragojevi? ha presentato oggi a Roma il suo film, premiato alla Berlinale 2012 nella sezione Panorama e al MedFilm Festival nella selezione ufficiale. All’incontro è intervenuta anche Ginella Vocca, presidente del MedFilm Festival: È un’emozione grandissima poter difendere il film. L’Italia e il Portogallo erano gli unici Paesi a non averlo ancora distribuito. È vergognoso avere una chiusura culturale del genere, quando invece a livello economico c'è un rapporto saldo. Per questo il MedFilm Festival continua a essere un punto di resistenza per un Paese che è alla deriva del circuito culturale europeo e planetario.
Com’è nata l’idea del film?
L’idea è nata nel 2001, quando in Serbia c’è stato un tentativo di realizzare la prima sfilata Pride, tentativo finito in uno spargimento di sangue. Quest’evento mi ha trasmesso una passione civile e ho pensato di scrivere un film su come vengono trattati gli attivisti LGBT. All’inizio ero insoddisfatto della sceneggiatura perché se avessi fatto un dramma realistico con scene aggressive e violente sarebbe stato un prodotto adatto ai festival, ma senza impatto per la maggior parte del pubblico. Ho pensato che fosse meglio descrivere personaggi medi, che siamo abituati a vedere per le strade, e ho constatato che il film sta diventando uno strumento per cambiare la mentalità delle persone omofobe. Quindi non ho cercato solo di intrattenere ma di creare uno strumento politico per cambiare l’idea comune della gente. E ho avuto un riscontro positivo perché in una delle regioni più omofobe, che è l’area dei Balcani, sono riuscito ad avere 600.000 biglietti venduti. Molte volte l’arte, e in particolare il cinema, imitano la vita. Questa volta invece è la vita che ha imitato l’arte, tanto che nel 2012 il ministro degli Interni croato ha chiesto ai veterani di proteggere i gay durante la parata, che è trascorsa senza incidenti.
Per il cast ha scelto attori professionisti o persone comuni?
Gli attori sono tutti professionisti. Nikola Kojo, che interpreta Limun, ha recitato nei miei film precedenti. Gli altri sono piuttosto giovani e provengono dai Paesi che hanno co-prodotto il film: Serbia, Croazia, Macedonia, Montenegro, Slovenia. Tra questi manca la Bosnia ma non per motivi politici. Il bello è che ogni Stato sente il film come suo, ed è una cosa importante a distanza di vent’anni dalla guerra.
Com’è la situazione in Serbia?
In Serbia c’è una situazione molto difficile e a Belgrado sono anni che non si riesce a organizzare un Gay pride. Anche nei circoli e nelle associazioni di artisti è lo stesso. Ad esempio Goran Jevtic, che interpreta Mirko, ha fatto coming out proprio in quest’occasione. Molti attori che hanno lavorato con me in passato hanno rifiutato di prendere parte alla pellicola. Anche mio figlio, che all’epoca studiava al liceo, aveva paura di ricevere minacce perché suo padre stava realizzando un film sugli attivisti LGBT. Questo per dare l’idea del clima in cui si vive.
Al di là dello scontro tra gay ed etero, il film mette in primo piano le libertà dell’essere umano.
Sì, non è solo un film sulla comunità gay o etero. Ho voluto puntare su un tema più generico: il dialogo e la tolleranza che sono nati tra la gente dopo la guerra. Sono stato addirittura accusato dai nazionalisti di avere fantasie o nostalgie unitariste. Finalmente le persone si sono rese conto che il conflitto è stato una transizione verso il capitalismo e che tutti i combattenti in realtà sono stati dei perdenti perché li hanno usati come pedine.
Come ha mescolato il dramma e la commedia?
La mia formazione professionale è nel campo della psicologia, ho lavorato come psicoterapeuta. Ho cercato di fare un film che servisse da terapia per la maggioranza di pubblico che è omofoba. Quindi ho calibrato il dramma e la commedia facendo in modo che all’inizio lo spettatore si rilassi ed entri nella pura commedia per poi avere una presa di coscienza nel finale. La struttura è simile a quella della commedia all’italiana, penso a Brutti, sporchi e cattivi di Scola o a Mimì metallurgico ferito nell’onore di Lina Wertmüller.