Il mio nome è Thomas, di Terence Hill
L’immarcescibile Don Matteo della tv torna alla regia con un omaggio agli spaghetti western, accendendo la voglia di bingewatching da quarantena dei film di Bud Spencer e Terence Hill. Su Rai Play
Mentre lo vediamo ancora in tv nel ruolo di Don Matteo, Terence Hill torna, dopo quasi vent’anni, alla regia cinematografica (aveva diretto Don Camillo nel 1983, Lucky Luke nel 1991 e Botte di Natale nel 1994), con un film dedicato al suo amico e collega Bud Spencer, venuto a mancare nel 2016, proprio mentre Hill si trovava in Spagna a fare i sopralluoghi per il set.
Distribuito nel 2018 e ora disponibile in streaming su Rai Play, Il mio nome è Thomas (tradotto in inglese col titolo My Name Is Somebody, in rimando al celebre Il mio nome è Nessuno) rappresenta sia un viaggio spirituale che un omaggio agli spaghetti western.
La trama è piuttosto semplice: Thomas (Terence Hill) decide di viaggiare in solitaria verso il deserto spagnolo, per dedicarsi alla rilettura di un libro e alla ricerca interiore. Sul suo cammino incontra la giovane Lucia (Veronica Bitto) che, col suo modo di fare a volte iracondo a volte pieno di gioia contagiosa, finirà per diventare parte integrante del viaggio sia fisico che interiore del protagonista.
Ed è proprio il libro che viene citato nel film, Lettere dal deserto di Carlo Carretto, ad aver ispirato Terence Hill per il soggetto.
Carretto era infatti un dirigente dell’Azione Cattolica, che lasciò tutto per andare a vivere nel deserto dell’Africa. Là si dedico a riflessioni sulla fede e provò a immedesimarsi nei personaggi biblici, in particolare in quello di Maria, immaginando come avessero vissuto dal punto di vista umano l’esperienza di fede.
Nel film la spiritualità è associata alla natura: i paesaggi incontaminati del deserto di Tabernas nei dintorni di Almeria; il cielo ricco di stelle luminose visibili solo quando si è lontani dalle città; il rispetto per tutte le forme di vita rappresentato in particolare dallo scorpione che appare più volte vicino a Thomas, il quale si limita a prenderlo per la coda e liberarlo lontano, ma non troppo, perché “magari la sua famiglia è qui vicino”, e dal racconto di Lucia sulle formiche a cui lei portava lo zucchero da bambina e che la zia invece schiacciava sotto gli stivali, lasciandola con il dubbio se “non hanno forse il diritto di vivere anche loro?”.
L’ambientazione non è casuale: il deserto di Tabernas è stato utilizzato per le riprese di ben oltre 100 film western tra gli anni ’60 e i ’70, tra cui Per un pugno di dollari, I magnifici 7 e anche il primo film che vide insieme Bud Spencer e Terence Hill, Dio perdona… io no!.
Fu proprio in quel luogo che i due attori si conobbero per la prima volta e se la nostalgia è evidente sul volto di Terence/Thomas quando raccoglie da terra l’insegna polverosa del saloon, non è niente paragonata a quella che assale lo spettatore vedendo gli evidenti richiami a film come Il mio nome è Nessuno o Lo chiamavano Trinità.
E così, anche se invece che a cavallo è su una Harley Davidson, al posto del cappello da cowboy ne ha uno da baseball, e invece che in un saloon del Far West, si trova in una locanda dell’Andalusia, quando vediamo un vecchietto nell’angolo mangiare fagioli da una padella e tre loschi figuri apostrofare con aria di sfida il nostro protagonista, si sa già che finirà in una bella ‘scazzottata’ come quelle a cui anni di spaghetti western ci hanno abituato.
Insomma, se non un film particolarmente brillante dal punto di vista formale e con qualche forzatura nell’evolversi della vicenda, è comunque un prodotto apprezzabile e sicuramente un invito ad approfittare di questo periodo di quarantena per rivedere tutta la filmografia di Terence Hill e Bud Spencer per risollevare il proprio spirito.
Regia: Terence Hill
Interpreti: Terence Hill, Veronica Bitto, Andy Luotto, Guia Jelo, Francesca Beggio, Giuseppe Gandini
Distribuzione: Lux Vide, Rai Play
Durata: 95’
Origine: Italia, 2018