Il Monaco che vinse l’Apocalisse, di Jordan River
Un biopic non convenzionale, a tratti convincente ma caratterizzato anche da alcune forzature stilistiche, che narra la figura ascetica del XII Secolo di Gioacchino da Fiore.
Ambientato nel periodo delle Crociate, Il Monaco che vinse l’Apocalisse racconta la figura dell’Abate Joachim (Gioacchino Da Fiore), ponendo l’attenzione sul pensiero del riformatore monastico e fondatore dell’ordine forense. Nel XII secolo, con una sorta di biopic non propriamente convenzionale ma certamente dall’atmosfera evocativa, si apre un viaggio poetico e fantastico, tra umano e trascendentale, esperienze oniriche e visioni mistiche. Per comprendere al meglio la forza del personaggio, l’asceta, più di un secolo dopo la sua morte, viene inserito da Dante Alighieri nel canto XII del Paradiso della Divina Commedia: “… Abate Giovacchino di spirito profetico dotato”. Pochi sanno del debito culturale di Dante Alighieri. La Divina Commedia stessa è ispirata al poema De Gloria Paradisi, scritta appunto da Gioacchino da Fiore. Inoltre, la più imponente opera di teologia figurale e simbolica, rarissimo codice miniato medioevale, è dello stesso autore, “Liber Figurarum”, di cui esistono al mondo tre copie, conservate a Reggio Emilia, Oxsford e Dresda. Il Monaco che vinse l’Apocalisse ha certamente il grande merito di fare luce su una figura tanto misteriosa quanto importante della Chiesa Cattolica, a tal punto da rappresentare fonte di ispirazione per numerosi artisti e pensatori internazionali, tra i quali Montaigne, Hegel, Joyce, Michelangelo per il Giudizio Universale.
Frutto di anni di ricerca che hanno coinvolto numerosi studiosi e centri di ricerca, l’opera fa riflettere su molti temi della Fede, inclusi quelli legati all’Apocalisse di Giovanni. Proprio nel giugno 2024, tra l’altro, Papa Francesco, nella Giornata Mondiale del Creato, ha citato pubblicamente Gioacchino da Fiore, definendolo un grande visionario e ha rimarcato che ha saputo indicare l’ideale di un nuovo spirito, faro per coloro che si avviano alla ricerca teologica. Il regista Jordan River, tra i pionieri in Italia del cinema 3D, si pone l’ardito compito di produrre immagini che siano adeguate alla dimensione escatologica propria dell’Apocalisse. La questione non è stabilire se ci sia riuscito o meno, d’altronde nei titoli di testa una frase dell’Abate risulta alquanto esaustiva: “Beati e Santi coloro che prendono parte alla prima resurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte…”.
Qui, quindi, si tratta di decidere quanto si può pretendere di “raccontare” mediante immagini un evento così da ogni punto di vista eccedente l’umana comprensione, quale è la Passione di Cristo. Ecco rendersi comprensibili alcune scelte stilistiche, magari discutibili e non del tutto giustificabili, quali alcuni effetti speciali stridenti, passaggi recitativi e di scrittura piuttosto grossolani o l’insistente voce fuori campo, fuori tempo, oltre il tempo e lo spazio, che declama aulici e profondi contenuti spirituali, estrapolati dal pensiero di Joachim. La rappresentazione meno inadeguata di eventi come l’Apocalisse o la Passione è quella che contiene il riconoscimento della propria inadeguatezza, che probabilmente in questo caso rasenta il pretenzioso, perché è quella che dice l’intrinseca e incancellabile approssimazione, di ogni parola e immagine che pretenda di conferire piena trasparenza a ciò che va al di là dei limiti della conoscenza accessibile all’uomo.
Regia: Jordan River
Interpreti: Nikolay Moss, Bill Hutchens, Francesco Turbanti, Elisabetta Pellini, G-Max, Giancarlo Martini, Yoon C. Joyce
Distribuzione: Delta Star Pictures
Durata: 90’
Origine: Italia, 2024