Il mondo in un bacio: ritorno su “Spider-man”
Come si “afferra la totalità del mondo”? oppure: come si guarda, e cosa si vede, attraverso l’”occhio di Dio”? L’intensità di “Spider-man” appare raccolta nell’inconfessabile desiderio di una visione olistica, nella tentazione proibita di abbracciare tutto il reale con un semplice battito d’occhi, universale e totalizzante
Un interrogativo che non è solo cinematografico ma anche, e soprattutto, etico e politico: rispondere a questa domanda significa porsi un problema di “prospettiva” cercando di comprendere quali lenti d’ingrandimento inforcare per catturare e indagare le immagini del nostro presente. Ma, forse, più che di abusati occhiali e improbabili gradazioni ottiche, Raimi sembra suggerirci l’utilizzo di uno strumento diverso ed originale, di un autentico “oggetto cinematografico” in grado di spostare continuamente in avanti le soglie della nostra percezione visiva, verso un immaginario orizzonte della possibilità e dell’a-venire: quella ragnatela che si tende senza mai spezzarsi e si appiccica alle cose del mondo permettendo al corpo di compiere movimenti e rotazioni impossibili, “divagazioni” fisiche che rischiarano ombre e angoli bui.
Così, uno sguardo si apre e si rivela ma, nonostante il brivido e l’altezza, non si tratta dell’atteso “occhio di Dio”, né di dickiane e celestiali palpebre pronte a controllare e ordinare la società. La tela del ragno scopre un universo frammentato e parcellizzato innamorato del disordine e del movimento, mentre il digitale ridisegna coordinate e confini di un paesaggio che sembra trasformarsi e illuminarsi ad ogni balzo vitale del protagonista. Scenari di mattoni e cemento e architetture dell’anima si compenetrano, assumono la fisionomia di un organismo mutante, animati da un unico impulso, un’oscillazione osmotica fra dentro e fuori, interno ed esterno, mente e corpi.
Tutte metafore e inquadrature della stessa visione: quella di Peter Parker e Mary Jane, un adolescente che desidera una ragazza e–freme -e–pulsa-e-si-batte per il sogno di un amore irrealizzabile. “Spider-man” è semplicemente la cronistoria di questo desiderio – etico e politico in quanto mosso da irrefrenabile passione “civile” -, è il battito scomposto del cuore di un “super” eroe che nasce da una umana, troppo umana “pulsazione di vita”. Nessuna vendetta da compiere (come “Barman” o quel “Devi”l che sta per approdare anche lui su grande schermo), nessun brama di poteri sovrumani (vedi “Superman” o i nietscheiani “X-Men”, non per niente filmati dall’eccentrico e solipsista Bryan Singer), nessuna tentazione salvifica: qui l’assoluto – il temibile “occhio di Dio” – è un contatto, un filo di ragnatela che scende dall’alto verso il basso, si immerge fra i suoni e i colori di una periferia urbana e piovosa regalando uno dei baci più miracolosi della storia del cinema. Estetica del miracolo e prodigio del desiderio: la “totalità del mondo”, lo sguardo Assoluto di “Spider-man” riposa in un dolce sfiorarsi di labbra bagnate.