Il nero, di Giovanni Vento

Un documentario mai distribuito prima con uno sguardo sovversivo sui “figli della Madonna”, nati dopo la guerra da padri afroamericani e madri italiane. Al #TFF38 nella sezione Back to the future.

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Il 1967 è un anno importante per il cinema italiano. In sala si può trovare di tutto, da Edipo Re di Pasolini a Come rubammo la bomba atomica di Fulci con Franco e Ciccio. Non si può vedere, però, Il nero di Giovanni Vento. Presentato in anteprima alla Berlinale dell’anno precedente, il lungometraggio non è mai stato distribuito in Italia, cadendo purtroppo nel dimenticatoio. Fino ad oggi, almeno, con il restauro in 2K curato dal Museo Nazionale del Cinema e da Compass Film e il passaggio nella sezione Back to Life del Torino Film Festival.

I protagonisti de Il nero sono i cosiddetti “figli della Madonna”, ovvero giovani di colore di Napoli, nati tra il ’45 e il ’46 dalle relazioni tra i soldati afroamericani e le donne italiane. Per Vento, che era un critico oltre che un cineasta, è l’occasione per utilizzare le tecniche del cinema più sperimentale di quegli anni. Vitalismo e giovanilismo sono le parole d’ordine che il film urla, tra una strizzata d’occhio al New American Cinema e una pacca sulla spalla della Nouvelle Vague.

C’è un’energia impetuosa che scorre come un fiume nel jazz di Piero Umiliani, nelle inquadrature realistiche “rubate” tra le strade della città partenopea, nelle conversazioni private dei protagonisti. Un’energia dalla quale il film guadagna un sano e moderno ribellismo, grazie al quale riprendere scene di quotidianità, al limite del banale, diventa un atto sovversivo. Contro una rappresentazione stereotipata di uomini e donne di colore. Contro il pregiudizio culturalista dell’impossibilità di adattamento. Contro un certo cinema etnografico, istituzionale e paternalista, decisamente meno incisivo di quel che vorrebbe essere.

Il nero è un film che non crede troppo alle etichette che gli vengono attribuite, a partire da quella di documentario. E chi non crede ciecamente finisce quasi sempre per risultare scomodo per il potere. “Anche lei è un figlio della Madonna?”, chiede il regista di una finta inchiesta ad uno dei protagonisti del film. “E a lei che gliene frega?”, gli risponde sarcastico quest’ultimo. Vento non infierisce sull’autore dell’inchiesta, tornando a narrare la quotidianità, mai banale e finta come la risposta che ci sarebbe potuta essere. Certo, oggi un altro scettico sovversivo e censurato come Franco Maresco non avrebbe avuto tanto “contegno”. Chissà se, conoscendo il calvario del suo film, non ci avrebbe rinunciato anche Giovanni Vento.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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