Il nostro paese, di Matteo Parisini

Su DOC3 di Rai3 un lavoro che richiama l’attenzione alla questione della cittadinanza. Un percorso tutto al femminile che esplora la quotidianità di giovani donne cresciute nel nostro paese.

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Sono oltre un milione gli italiani senza cittadinanza, ‘non italiani’ per accanimento burocratico e legislativo, nati o cresciuti sul suolo italico, costretti a veder ancora oggi rifiutata la loro identità. Il nostro paese, ultimo lavoro documentario di Matteo Parisini prodotto da LaDoc con il sostegno di Amnesty International Italia e dell’associazione Italiani senza cittadinanza, pronto a debuttare su Doc3 di Rai3, riporta l’attenzione su una questione che in un paese come il nostro sembra ahimè perennemente insoluta: sono i legami di sangue, l’ombelicalità materna o, al contrario, il territorio in cui si nasce e si matura, la lingua o la cultura acquisite a dare diritto alla cittadinanza?

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Non si tratta di domande astratte estrapolate da una conversazione tra esperti di giurisprudenza, ma di un quesito politico attualissimo vissuto sui corpi delle persone, all’apparenza semplice ma complicato quotidianamente da un razzismo montante e dagli inesauribili retaggi di un irrisolto storico con il nostro passato coloniale. Donne, uomini e bambini costretti a vivere in un limbo, per dirla con le parole della scrittrice e attivista Igiaba Scego: «Viviamo in un limbo dove lo Stato non ci riconosce come figli suoi. L’Italia (e lo dico con una tristezza immensa che mi invade l’anima) di fatto è un genitore che ci rifiuta. Ma rifiutandoci rifiuta anche se stessa, perché noi siamo Made in Italy come il parmigiano reggiano, gli spaghetti co’ a’ pummarola in coppa, le arie di Verdi, la pizza e le giacche di Armani. Made in Italy dalla testa ai piedi. Anzi fino al midollo proprio».

Anche Insaf, Alessia, Marya, Anna, Sabrine, Ihsane, Ana Laura e Rabia, protagoniste de Il nostro paese, la pensano così. Sono otto donne che vivono, studiano, lavorano in Italia.

Uno spaccato tutto al femminile che attraversa da nord a sud la penisola, da Trieste a Napoli passando per Reggio-Emilia e Barletta, mostrandoci la vita quotidiana di queste giovani donne alle prese con la perenne incertezza di chi si ritrova ad essere ‘quasi italiano’, bloccato in transizione, invisibile e clandestino, fra sogni da realizzare e una precarietà che preclude ogni speranza. C’è Alessia, diciannovenne nata in Russia ma cresciuta in Italia dove è arrivata all’età di tre anni. È cintura nera di taekwondo, ha vinto due coppe e gareggia sia a livello nazionale che internazionale ma non può partecipare alle Olimpiadi con la Nazionale Italiana. C’è Ana Laura, origini brasiliane, a Trieste dall’età di due anni. Studia all’università ma non può fare l’Erasmus. C’è Anna, nata a Napoli da genitori senegalesi, che a 18 anni ha perso l’occasione per richiedere la cittadinanza per motivi burocratici e da allora deve rinnovare ogni anno il permesso di soggiorno. Ogni anno da otto anni. E ci sono tutte le altre, ognuna con le proprie aspirazioni, gioie, difficoltà quotidiane pratiche, soprusi.

«A quante cose dobbiamo rinunciare? A quante possibilità? A quante prospettive? A quanti sogni? Noi, ragazzi della seconda generazione, italiani di seconda categoria, non italiani. Siamo di colori, religioni, idee diverse; ma siamo tutti uniti in un profondo dolore perpetrato da azioni retrograde e razziste», recita un monologo del film Sta per piovere del regista Haider Rashid, uscito in sala nel 2013; il percorso tracciato dal documentario, dietro l’apparenza naïf e (troppo?) speranzosa, ha il merito di riportarci a queste parole ridestando così l’attenzione del pubblico impigrito. Parisini si dimostra pronto a spiegare con l’intento e la pazienza del pedagogo, e senza abbandonare il sorriso sulle labbra e le migliori intenzioni, il senso e il significato dell’essere cittadin* di uno stato nazione nel mondo globalizzato contemporaneo.

Un ottimismo ed uno slancio a cui non siamo abituati ma a cui magari, per questa volta, potremmo abbandonarci.

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