Il partigiano Johnny



Regia: Guido Chiesa
Sceneggiatura: Guido Chiesa e Antonio Leotti dal romanzo omonimo di Beppe Fenoglio
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Luca Gasparini
Musica: Alexander Balanescu
Scenografia: Davide Bassan
Costumi: Marina Roberti
Interpreti: Stefano Dionisi (Johnny), Claudio Amendola (Nord), Andrea Prodan (Pierre), Fabrizio Gifuni (Ettore), Giuseppe Cederna (Nemega), Alberto Gimignani (Biondo), Chiara Muti (Elda), Umberto Orsini (Pinin), Felice Andreasi (mugnaio), Lina Bernardi (madre di Johnny), Tony Bertorelli (padre di Johnny), Flavio Bonacci (Chiodi), Antonio Petruccioli (Cocito), Marilena Biestro (Rina), Fabio De Luigi (Soldato fascista)
Produzione: Domenico Procacci per Fandango Films
Distribuzione: Fandango
Durata: 135'
Origine: Italia, 2000


Strano come a volte l'eccesso di passione o di vicinanza con l'oggetto amato non produca poi a sua volta un qualcosa che gli altri possano amare e a cui possano appassionarsi. E' il caso di questo film di Guido Chiesa, Il partigiano Johnny, che sembra racchiudere dentro sé tutte le tracce di una ricerca, di una passione, quasi devozione verso un testo, un autore, una storia. "Innamorandosi" di un libro con un personaggio che gli stessi sceneggiatori definiscono "difficile", cercando di riprodurne le movenze, i percorsi, gli stati d'animo. Ma poiché Johnny è un personaggio troppo oscuro, come immerso nella penombra della Storia, risulta impossibile – senza deviarne completamente l'immagine, senza "falsificare" la storia rendendola più "reale", alla maniera del Cimino de Il siciliano, per intenderci – provare passione, simpatia o una qualsivoglia forma di vicinanza con Johnny. E allora non resterebbe che appassionarsi a quel che Johnny vede, gli altri compagni, la lotta quotidiana, la guerra fuori e dentro di sé. Ma il film di Chiesa è appunto troppo devoto, come chiuso in una gabbia visiva (e narrativa) dove l'unico mondo possibile sembra essere quello interiore di Johnny, perennemente corrucciato, né di qua né di là, incapace di stare in mezzo agli altri pur costretto a viverci assieme. E alla fine non scatta il meccanismo di partecipazione, lo sguardo è distaccato, come una telecamera fredda puntata su una pagina di un libro di storia (o di letteratura). Nessun amore, nessuna passione, proprio in un contesto di eccesso di amore e di passione. Paradosso del cinema. Dove non basta provare i sentimenti, ma dove bisogna saperli "falsificare" e trasformarli in qualcos'altro. Ad esempio amore per i personaggi, per tutti i personaggi. Ma Il partigiano Johnny eccede in identificazione, e il film risulta come il personaggio, sperduto nel buio freddo di un inverno dove la speranza è vanificata dall'assurdità ( a volte) della vita. E il coraggio di guardare il mondo con onestà e lucidità (come la resistenza svuotata di ogni celebrazione e leggenda ma resa fame e freddo e paura e morte) non basta a produrre un oggetto da amare.

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