Il percorso involuto – "The Bourne Supremacy" di Paul Greengrass

L'ansiosa ricerca di un taglio innovativo si è rivelata stavolta troppo insistente e aggressiva, e si perdono i corpi, spostati e ghermiti esattamente laddove avrebbero potuto torcersi sino allo spasimo e sprigionare l'intimo turbamento esiziale.

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Dopo il primo episodio, The Bourne Identity, (diretto nel 2002 da Doug Liman) prosegue ora l'apologia del killer ravveduto Jason (Matt Damon) in questo ulteriore capitolo tratto dal secondo e omonimo romanzo della trilogia che Robert Ludlum dedicò al suo antieroe. La vicenda si riallaccia direttamente alla conclusione del film antecedente e ripropone l'ex assassino, un tempo appartenente alla CIA, ancora alla ricerca del proprio passato, a partire dai pochi brandelli di memoria a tratti emergenti, ed in fuga costante onde evitare le mortali rappresaglie di coloro che un tempo erano i suoi alleati. Ben chiaro sin dall'inizio l'approccio dell'inglese Greengrass (Bloody Sunday, The Murder of Stephen Lawrence): avvicendare con regolarità porzioni di narrazione, dedicate all'esplorazione del conflitto interiore del protagonista, a psichedeliche sequenze mozzafiato in cui far finalmente deflagrare l'attesa precedentemente accumulata. Tutto ciò mediante quello che appare come un ottimo perno attorno al quale far ruotare l'intero film, ma che al contrario si ritorce contro l'autore stesso: il frammento, la scomposizione di sé e dei propri gesti, ovvero schegge di ricordi incerti e lancinanti da un lato, e azioni frantumate e frenetiche dall'altro. Al difficile viaggio attraverso il mondo dell'ex agente speciale doveva infatti corrispondere il percorso di un uomo afflitto e tormentato, desideroso d'espiare i crimini compiuti: tale percorso resta aggrumato e involuto sino al termine della vicenda. Le vorticose intermittenze della memoria, presagite come oscuri echi di un passato lacerante e ineluttabile, in verità svaporano senza clamori, tradiscono l'attesa sminuite come sono in una blanda, diluita consistenza. E soprattutto si perdono i corpi, spostati e ghermiti esattamente laddove avrebbero potuto torcersi sino allo spasimo e sprigionare l'intimo turbamento esiziale. Invece: estranianti barbaglii convulsamente gettati sull'asfalto e troppo rapidamente sottratti allo sguardo, scarti metallici raschianti sul palato, l'esasperazione ipercinetica di un ingranaggio che sbanda, urta stride e sterza provocando infine un abbagliato stordimento sensoriale. L'ansiosa ricerca di un taglio innovativo, pur auspicabile, si è rivelata stavolta troppo insistente e aggressiva, esaurendo ed allontanando da sé proprio quell'occhio che avrebbe voluto affascinare e irretire.

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