Il posto, di Mattia Colombo e Gianluca Matarrese

Da Visions du Réel, il documentario ambientato sui Bus To Go che attraversano l’Italia verso i concorsi pubblici e il sogno della stabilità lavorativa, tra archivio catodico e flusso di parole

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I passeggeri del Bus to Go che da Salerno sale a Genova, attraversando le autostrade di notte per accompagnare i concorsisti al palazzetto dove tenteranno il test per il posto fisso nella “sanità pubblica”, finiscono la mattina dopo inglobati nel repertorio dei servizi televisivi sui 7000 che si sono presentati alla prova: il filtro inequivocabilmente catodico restituisce immagini di code da concertone, di flussi di umanità e domande a crocetta – è una sorta di salto indietro nel tempo, acuito dalla grana dell’archivio giornalistico, e alla stessa maniera il viaggio che Il posto racconta sembra riportare questo pullman nel passato, vuoi anche soltanto per il riferimento olmiano del titolo. I giovani a bordo parlano già da anziani, di lavoro vicino casa, delle garanzie della sanità statale (“il privato può chiudere da un momento all’altro”), quella stessa specie di saggezza spicciola di un’altra epoca che sentiamo poi più in là quando chiacchierano d’amore, di convivenza, di figli… ad un certo punto sul documentario di Colombo e Matarrese si abbatte la pandemia, e il tempo sembra compiere uno scatto in avanti proprio nel momento in cui si immobilizza.

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Raffaele, la persona che ha fondato questo business del trasporto economico dei concorsisti via pullman notturni per ottimizzare le spese raggiungendo tutta Italia senza dover preoccuparsi dell’alloggio, decide di provare pure lui un concorso per infermieri ad Arezzo, e di imbarcarsi nella stessa avventura dei suoi utenti: il covid ha sbloccato una ampia fetta di assunzioni a termine, serve personale negli ospedali, forse è la volta buona per lui che ha studiato per questo mestiere prima di trasformarsi in imprenditore dei viaggi su strada. Anche perché ora che nessuno può spostarsi, il concorso torna ad essere un orizzonte più appetibile di un’agenzia di viaggi (“che giornata gloriosa”, ricorderà Raffaele con l’autista Peppe ripensando alle 300-400 persone portate a Genova, per il concorso del 2018 su cui si apre il film). Pure Raffaele lo vediamo spesso intrappolato in un’impasse di apparizioni in tv nei programmi pomeridiani, quelli che parlano la stessa lingua dei discorsi che sentiamo a bordo del bus, ma di lui conosciamo anche sprazzi di quotidianità familiare, la madre, la fidanzata, la cena con gli spaghetti con le vongole…

Nonostante l’incipit rigoroso possa fare intendere un viaggio dai toni metafisici in stile Il passaggio della linea di Pietro Marcello, in realtà poi Colombo e Matarrese optano invece per l’incrocio di linee narrative (la storia di Raffaele, le vite e le occupazioni dei passeggeri del bus prima e durante la pandemia…) intessuto sulle conversazioni rubate (anche tra Raffaele e la ragazza), i dialoghi assonnati, i racconti di quotidiana fatica sotto covid che gli infermieri si fanno l’un l’altro (con la bella idea di far ricapitolare la storia dell’azienda Bus to Go attraverso la rievocazione fatta da Raffaele in un intervento ad un convegno). Il posto diventa così più di tutto una raccolta di parole e confidenze, talmente tanto fulcro della struttura da riecheggiare anche nell’aria del pullman mentre i passeggeri dormono, accoccolati sui sedili.
Probabilmente a questo documentario, firmato in team dai registi di La dernière séance e Ritmo Sbilenco e presentato negli scorsi giorni a Visions du Réel, avrebbe giovato un respiro meno “contratto”, al di là del probabile tentativo di restituire la claustrofobia iperbarica e ovattata dell’abitacolo del bus su cui è ambientato – resta però una riflessione stratificata e importante sulla ridefinizione in atto del concetto stesso di lavoro, tra ipermobilità, disponibilità totale, processi automatizzati, “great resignation” e precarietà sociale.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
3 (3 voti)
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