Il presidente, di Santiago Mitre

Prodotto finemente stratificato sul punto di vista narrativo, parte come dramma politico per poi venire catapultati in una dimensione squisitamente thrilling. Con Ricardo Darín

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Vizi privati e pubbliche virtù di Hernán Blanco, presidente dell’Argentina, che si ritrova a dover gestire uno scandalo familiare senza intaccare la figura pubblica costruita lungo anni di impeccabile carriera.

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Tutto si svolge durante un summit tra Capi di Stato sudamericani (da qui il titolo inglese) per l’accordo di un trattato petrolifero, sulla candida cordigliera delle Ande, tra Cile e Argentina. L’albergo scelto per il ritrovo, meraviglioso nella sua compostezza architettonica, rispecchia fedelmente la faccia(ta) di Blanco, «un uomo come voi», per citare il suo slogan elettorale.
Rapporti pacifici, alcuni fatti di ammirazione (o timore?) come quello con il presidente del Brasile, vengono affossati da un possibile scandalo che vede protagonista Marina, unica figlia di Blanco, sposata con un personaggio compromettente.
Attraverso la figura di un enigmatico dottore, esperto nell’uso dell’ipnosi, il politico cercherà di “scavare” nella mente della figlia per districare la matassa di turbamento che si è creata attorno alle loro vite. E per evitare possibili ritorsioni mediatiche senza sconvolgere l’opinione pubblica.

Presentato ai festival di Cannes e Torino nel 2017, Santiago Mitre, con Il presidente, sbarca nelle sale con un prodotto finemente stratificato sul punto di vista narrativo (co-sceneggia Mariano Llinás). L’inizio possiede tutte le peculiarità di un dramma politico sulla patinata condizione umana delle figure di Stato (vedi il leccato The Iron Lady di Phillida Lloyd, togliendo il riferimento biografico, ovviamente) per poi venire catapultati in una dimensione squisitamente thrilling: i flashback della figlia; il sottile crinale tra verità e menzogna; la bilateralità di Blanco (nomen omen!) che da figura “buona” e fuori luogo durante gli incontri formali si rivela fine stratega senza scrupoli, esperto tessitore di verità nascoste per troppo tempo.

Raffinati rimandi hitchcockiani – come la sequenza in cui si vede una Marina bambina all’interno di un flashback, evocatrice speculare di quella Marnie del 1964, frigida e con la passione per i cavalli – vengono giostrati all’interno di spazi enormi, asettici, pulitissimi, giocati sul grandangolare per estremizzare la capienza vitale (e morale) dei personaggi raccontati. Contrastando, così, la soavità della corazza esterna col decadimento introspettivo più viscerale.

Ricardo Darín, ottimo protagonista, riesce sinuosamente a tirare le fila del presidente Blanco, grazie a un’estrema versatilità performativa composta da sapienti sfumature attoriali.
Da segnalare il cameo (scult) di Christian Slater, cui il doppiaggio italiano lo fornisce di assurdo accento british (seppur la voce sia quella del sempre professionale Riccardo Rossi).

Titolo originale: The Summit (La cordillera)
Regia: Santiago Mitre
Interpreti: Ricardo Darín, Dolores Fonzi, Erica Rivas, Elena Anaya, Daniel Giménez Cacho, Gerardo Romano, Christian Slater
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 114’
Origine: Argentina, Francia, Spagna, 2017

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