"Il prezzo della libertà", di Tim Robbins

Robbins proietta i tratti distintivi del suo impegno civile nell'America degli anni '30 e ragiona di potere e libertà, creazione artistica e ideologia, in un mosso e diseguale affresco corale.

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Dopo l'acre satira politica di Bob Roberts (1992), in cui un bieco folksinger ultrareazionario veniva eletto senatore, e Dead Man Walking (1995), attonita requisitoria contro l'istituzione della pena capitale, con questo Il prezzo della libertà (1999), che appare in Italia con ampio ritardo, Robbins proietta i tratti distintivi del suo impegno civile nell'America degli anni '30, ripercorre/riscrive un caso di oscurantismo premaccartista (il tortuoso allestimento, da parte di un giovane Orson Welles, di The Cradle Will Rock, dramma musicale dai forti connotati sociali, scritto da M. Blitzstein, vietato dalle autorità), ragiona di potere e libertà, creazione artistica e ideologia, in un mosso e diseguale affresco corale. Apre un calibratissimo, sinuoso long take (che un tratto di buio faccia da velo ad un presumibile stacco, poco importa), complesso tragitto di linee in cui subito agiscono numerosi personaggi di rilievo. E l'ouverture mette immediatamente in risalto l'identità multipla, sofisticata, dell'opera in cui trova posto, oltreché l'ambizione marcata che quell'opera sostiene. Presto il racconto si satura di temi ed implicazioni (le malformità e le contraddizioni della società americana, le responsabilità di alcuni grandi industriali, finanziatori del fascismo italiano, quindi, soprattutto, la paura del comunismo, ecc.), si distingue in un ampio numero di getti, si definisce in un laborioso incrocio di figure e percorsi, fino al corposo finale (in cui l'amalgama diviene perfino più fitto, nell'incontro di registri espressivi differenti) che Robbins manovra con abilità e con spiccato senso dello spettacolo. Il gran numero di assunti (e, soprattutto, di risvolti, di prolungamenti) mobilitato dal film resta tuttavia come congelato nella pratica di un accumulo insistito e finisce schiacciato negli spazi ristretti di una pur articolatissima orchestrazione: più che concentrare la propria attenzione sulle linee di forza del proprio discorso, Robbins dà l'impressione di voler mostrare tutto quello che può, incrinando in tal modo l'equilibrio complessivo del racconto (che talvolta si incaglia in passaggi ridondanti o gratuiti) e soprattutto negandosi la possibilità di scendere autenticamente in profondità. Il lavoro sui personaggi, prevalentemente costretti in troppo rapidi tratteggi e talora – si pensi alla complessità di figure come Welles o Rivera – appiattiti in facili stereotipi, è a questo proposito assai indicativo. Ma il cinema di Robbins, imperfetto e generoso, talora ingenuo, sempre polemico, porta comunque con sé il timbro di una singolare onestà che si conserva intatta di film in film. Il cast sontuoso garantisce numerose interpretazioni d'alta scuola (su tutti Murray, Watson, Turturro).

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Titolo originale: Cradle Will Rock
Regia: Tim Robbins
Sceneggiatura: Tim Robbins
Fotografia: Jean-Yves Escoffier
Montaggio: Geraldine Peroni
Musiche originali: David Robbins
Scenografia: Richard Hoover
Costumi: Ruth Myers
Interpreti: Emily Watson (Olive Stanton), Susan Sarandon (Margherita Sarfatti), John Cusack (Nelson Rockfeller), Joan Cusack (Hazel Huffman), Angus MacFadyen (Orson Welles), Cary Elwes (John Houseman), John Turturro (Aldo Silvano), Vanessa Redgrave (contessa LaGrange), Hank Azaria (Marc Blitzstein), Ruben Blades (Diego Rivera), Bill Murray (Tommy Crickshaw)
Produzione: Cradle Productions, Inc./Havoc/Touchstone Pictures
Distribuzione: Filmauro
Durata: 100'
Origine: USA 1999

 

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