Il problema con Seraphine: l’identità digitale rubata da League of Legends

Identità digitale, proprietà dei dati e creatività 2.0 sono gli argomenti al centro della polemica su Seraphine, personaggio del videogame multiplayer online League of Legends. Ecco tutta la storia

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Il 12 Novembre 2020 su Medium viene caricato un post dal titolo The Problem With Seraphine.

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A scriverlo è un’utente che si identifica come Stephanie e nell’articolo rivela che, forse, il suo corpo, le sue parole, i suoi tweet, sono finiti all’interno della lore di League Of Legends senza il suo consenso. La sua identità digitale è stata rubata per costruire Seraphine, nuovo personaggio dell’arena del frequentatissimo videogame multiplayer online. Stephanie presenta una serie di prove del furto e arriva ad individuare un presunto colpevole, “John”, sviluppatore di Riot Games con cui si era frequentata nel 2019.

La vicenda ha scatenato un vespaio, le argomentazioni di Stephanie sono solide e, sebbene Riot Games abbia negato ogni accusa in realtà non è nuova a manovre di questo tipo. Il punto però non è decidere chi abbia ragione, piuttosto riflettere sulle implicazioni che questa storia ha all’interno dell’urgente dibattito su identità personale e dimensione digitale.

Il racconto di Stephanie è in primo luogo paradigmatico di quanto il digitale sia pervasivo nella nostra quotidianità.

Leggendo il post ci si accorge di quanto il reale sia non solo facilmente trasportabile nel mondo digitale ma anche manipolabile come si farebbe con dei dati. I disegni di Stephanie sono digitalizzati e diventano gli sketches di Seraphine, le sue parole, lasciate in una chat, avrebbero potuto parte di alcune linee di dialogo del personaggio, le sue foto di Instagram vengono replicate nel feed personale di Seraphine.

Seraphine non è altro che il doppio digitale di Stephanie, complice anche una caratterizzazione realistica, che la vede nel ruolo di influencer digitale. A partire da questa consapevolezza, si fanno strada le questioni più inquietanti sullo sfruttamento dell’identità digitale. Se la versione di Stephanie verrà confermata ci si troverebbe di fronte ad una sorta di “schiavitù digitale” per fini di lucro, con Riot Games che eserciterebbe un’azione di controllo indiretto su Stephanie utilizzando il personaggio di Seraphine.

In questo senso, Seraphine si potrebbe porre come punto d’arrivo conclusivo di una strategia dal sapore distopico che ha trasformato con l’inganno un’utente medio (Stephanie) in un’entità promozionale per il brand, un corpo fisico che, contro la sua volontà ed attraverso il digitale vende sé stesso senza essere un consumatore. Riot Games ha raggiunto un’inquietante condizione win-win nel mercato del web 2.0, una posizione che potrebbe fare gola a realtà ben più grandi come Amazon o Netflix ma a che prezzo?

Il lato oscuro di tutta questa storia è in effetti particolarmente sfaccettato. Si parte dai numerosi contenuti pornografici amatoriali su Seraphine ma si arriva all’allarmante strategia con cui l’azienda sta gestendo il personaggio, protagonista di una storyline problematica e, a leggere i forum, ingiocabile per gli utenti. Seraphine sembra essere un personaggio pensato come carne da macello, utile creare hype tra i giocatori: la sua storia viene dibattuta sui forum, i suoi tweet vengono ritwittati come in una macchina promozionale infinita ma, in prospettiva, il senso delle azioni di Riot è ben più inquietante.

Gli sviluppatori, impegnati nella promozione, non si preoccupano in effetti della narrativa che stanno sviluppando per far si che tutto questo avvenga: l’ambiguità  di Seraphine ma soprattutto le sue meccaniche di gioco così poco user friendly sono gli spunti attraverso cui sembra si voglia estremizzare la mascolinità tossica del fandom, i cui flames offrirebbero una straordinaria spinta promozionale al personaggio. Da questo punto di vista la pur gravissima messa in vendita per procura di Stephanie finisce quasi ridimensionata rispetto al modo in cui Riot ha strumentalizzato certe pericolose derive del maschilismo.

Il problema di Seraphine attraversa ogni punto caldo del rapporto tra uomo e digitale. Se confermata, la storia di Stephanie è un monstrum che, tra gli spettri del revenge porn e lo sfruttamento massivo dell’utente ignaro, interseca i maggiori demoni della contemporaneità. Ci troviamo di fronte all’ennesimo exemplum a carattere universale, ad una brutta storia dalla Silicon Valley da cui ricostruire, con nuova consapevolezza, un rapporto proficuo con la dimensione del Web 2.0. Stavolta avremo capito come funzionano le cose?

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