Il ragazzo dai pantaloni rosa, di Margherita Ferri
Ispirato alla storia di Andrea Spezzacatena, suicidatosi nel 2012, non riesce a restituire la portata del dramma e resta ingolfato in una voce off che lo sovrasta. RoFF19. Alice nella Città.
“Oggi avrei 27 anni”. La voce-off di Andrea ripercorre tutta la sua vita dal parto della madre fino al tragico epilogo. Diventa così il narratore della sua stessa esistenza, cercando subito una corrispondenza diretta con lo spettatore. Il ragazzo dai pantaloni rosa è ispirato alla vera storia di Andrea Spezzacatena, quindicenne che si è tolto la vita il 20 novembre 2012 e al libro Andrea oltre il pantalone rosa scritto dalla madre del ragazzo Teresa Manes.
Andrea è il prototipo del figlio perfetto. Bravo a scuola, pensa soprattutto a fare felici gli altri, come sottolinea la nonna. Canta con la madre la loro canzone, protegge il fratello Daniele e lo porta in libreria quando i genitori stanno litigando e coprono con le loro urla la musica che stanno ascoltando. A scuola però la sua vita è più difficile. Lega con una coetanea, Sara, con cui va al cinema e scrive le recensioni dei film su un quaderno ed è attratto dal carisma di Christian con cui vorrebbe diventare amico ma da cui invece, viene ignorato se non preso in giro. La situazione peggiora ancora di più nel passaggio tra le medie al liceo. Andrea vorrebbe levarselo dalla testa e si illude di riuscirci. Ma un paio di pantaloni rossi diventati rosa dopo un lavaggio sbagliato iniziano sono il primo drammatico segnale di una situazione che sta precipitando e da cui non c’è più via d’uscita.
Il titolo di Il ragazzo dai pantaloni rosa, scritto da Roberto Proia e diretto da Margherita Ferri, riprende quello della pagina facebook creato nel 2012 per prendere di mira Andrea. A questo punto bisogna fare due distinzioni. La prima è che più ci sono film con questo argomento meglio è perché aiutano a sensibilizzare sul tema del cyberbullismo. L’altra però è che in Il ragazzo dai pantaloni rosa non arriva la portata del dramma vissuto dal protagonista perché si sente troppo la recitazione, la sottolineatura degli episodi (il concerto dal Papa, Jules et Jim di Truffaut al cinema), la gestualità ambigua dei gesti di Andrea nei confronti di Christian, l’isolamento rivelatore del dettaglio (la lavatrice con dentro i pantaloni che cambieranno colore). Resta coinvolgente il legame tra Andrea e la madre, grazie anche all’interpretazione di Samuele Carrino e Claudia Pandolfi, ma il film resta sulla superficie e non lascia mai quasi da solo Andrea a contatto con i suoi pensieri e i suoi turbamenti. Il metodo è quello da serie adolescenziale Netflix ma sotto questo aspetto, per esempio, Skam Italia è molto più avanti. Non ha la giusta ironia nei momenti che dovrebbero allontanare la tensione – e sotto questo aspetto il legame con Sara, interpretata da Sara Coccia, avrebbe potuto aiutarlo – disperde il pathos di alcune scene chiavi come quello atroce dell’inganno alla festa ma soprattutto è dipendente, quasi succube dalla voce fuori-campo che diventa troppo ingombrante, anzi pressocché incontrollata. Margherita Ferri stavolta non riesce a trovare quell’istintiva intimità che c’era con la protagonista, talento dell’hockey su ghiaccio, del suo primo lungometraggio Zen. Sul ghiaccio sottile. Il paesaggio, che in quel film era determinante, qui diventa solo sfondo, con una Roma quasi anonima al centro di un dramma che sarebbe dovuto andare in crescendo e invece ha viaggiato sempre alla stessa velocità di crociera.