Il respiro della foresta, di Jin Huaqing

Incentrato sulle 20.000 monache buddiste, che vivono in un monastero isolato dal resto del mondo. è una rappresentazione visivamente potente della realtà vissuta sotto il regime totalitario.

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In una valle isolata nella provincia occidentale di Sichuan, molte monache tibetane fanno parte di una comunità di circa diecimila persone, che, sotto la guida di alcuni maestri, intraprendono un intenso percorso di studi e preghiera presso il vicino Monastero di Yarchen. Jin Huajing, racconta questa storia ne Il respiro della foresta, premiato per il Miglior Documentario al Golden Horse Film Festival e ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Seattle International Film Festival, verifica con spiccata curiosità e acuta osservazione, il distacco di queste donne rispetto ad ogni espressione sociale, ad ogni realtà urbana, ad un contesto mondiale che, nel tempo muta e progredisce. Le riprese sono iniziate nel 2017 e terminate nel 2020.

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Jin Huaqing sviluppa una trama solida raccontando le storie di migliaia di figure, in gran parte mascherate e indistinguibili tra loro. Da un iniziale senso di disorientamento emerge una profonda analisi delle relazioni tra queste donne, di cui ne osserviamo la loro devozione fisica e spirituale nelle attività quotidiane nonostante le difficili condizioni climatiche. Questa devozione ha profondamente attratto il regista verso di loro.

Nonostante il tema centrale sia l’impermanenza, ovvero il concetto fondamentale nel buddismo che si riferisce alla convinzione che tutte le condizioni esistenti, senza eccezioni, siano in uno stato di costante cambiamento, ne Il respiro della foresta ci sono momenti di leggerezza all’interno della dura realtà della vita monastica a 13.000 piedi. Le scene di yak che guardano dalle finestre, una monaca che confessa di aver mangiato carne di yak, e riprese quotidiane di monache anziane che preparano noodle, sono momenti, insieme alla rappresentazione della dura realtà della vita in condizioni estreme e al minimo comfort, che forniscono al film un equilibrio emotivo. Il respiro della foresta esplora dunque  il concetto buddista per cui tutte le cose fisiche e mentali nascono, crescono, si sviluppano, decadono e muoiono, così come succedeva per Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera (2013), l’apologo morale sulla ciclicità di Kim Ki-Duk, anche se ad avvicinarsi maggiormente è Baraka (1992), un film documentario diretto da Ron Fricke, che fu direttore della fotografia in Koyaanisqatsi, il primo film della trilogia qatsi di Godfrey Reggio.

Il documentario, visivamente accattivante, offre una prospettiva stupefacente sul rigido clima tibetano e segue circa 7.000 monache buddiste tibetane che si rifugiano in capanne di legno di fortuna per un ritiro di 100 giorni che si svolge durante la parte più fredda dell’anno. La prima parte è molto evocativa e pone l’accento su dettagli fondamentali della vita monastica: le monache durante le assemblee religiose, la preparazione dei pasti, le visite mediche, l’interazione con i loro guru o la pratica della meditazione. Il pubblico viene coinvolto in una serie di scene che illustrano le varie attività delle monache, da una che disegna un’immagine di Buddha durante un sermone a un’altra che lecca una ciotola dopo il pranzo. Queste e molte altre scene formano una sequenza visiva di eventi eterogenei, che ritraggono le monache in un’immagine di semplicità, docilità e ingenuità. Agli spettatori de Il respiro della foresta non resta che ammirare lo spettacolo delle immagini che Jin Huaqing mette in scena raccontando un tratto profondo della Cina, vero ieri come oggi.

Titolo originale: Dark Red Forest
Regia: Jin Huaqing
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 85′
Origine: Cina, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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