Il sale della terra, di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado

the salt of the earth
L’umanesimo di Sebastiao Salgado trova un’alleanza sincera nello sguardo di Wim Wenders, autore sempre in viaggio con la sua valenza metaforica ed esistenziale. Itinerari geografici e temporali che offrono il pretesto per riflessioni di carattere universale sull'umanità e la civiltà moderna. Antropologia planetaria, grido d'allarme, che attraversano la “camera oscura” della storia

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the salt of the earthLa fotografia di Sebastiao Salgado ha percorso i continenti sulle tracce di un’umanità in piena mutazione. Ha testimoniato i maggiori avvenimenti che hanno segnato la nostra storia recente: conflitti internazionali, la fame, gli esodi. Si è spinto alla ricerca di territori vergini, paesaggi immensi, e raccontato, come un pittore della luce, la fauna e la flora selvaggia, all’interno di un mastodontico progetto, omaggio alla bellezza del pianeta. Il suo lavoro e la sua vita è arrivata a noi grazie anche alle riprese del figlio Juliano, che l’ha accompagnato nelle ultime spedizioni, e a Wim Wenders, fotografo ancor prima che regista cinematografico. Wenders praticamente non sbaglia un colpo da documentarista, ancora una volta trova la chiave giusta per raccontare, attraverso una sorta di “camera oscura” la storia degli ultimi quarant’anni, attraverso un approccio filologico e cronologico, assemblando foto e riprese di repertorio del grande fotografo. Il suo progetto internazionale “Instituto Terra” si propone di ripopolare ettari di terra dell’Amazzonia disboscati e il documentario di Wenders si fa promotore anche di questa nuova avventura. Una sorta di grande antropologia planetaria, un grido di allarme, un tributo visivo. Un viaggio fotografico fatto di immagini in un bianco e nero lirico e potente, di mondi in cui natura, animali ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’ambiente: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia.

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Ricongiungersi con il mondo com’era prima che l’uomo lo modificasse fino quasi a sfigurarlo. Sembra quasi fare eco al bellissimo film in Concorso di Naomi Kawase, Still the Water. Torna alla memoria L’immagine mancante di Rithy Panh, in cui modellini di terracotta ricostruiscono, passo dopo passo (o scatto dopo scatto), gli anni del totalitarismo cambogiano. L’umanesimo di Salgado trova un’alleanza sincera nello sguardo di Wenders, autore sempre in viaggio con la sua valenza metaforica ed esistenziale. Itinerari geografici e temporali che offrono il pretesto per riflessioni di carattere universale sull'umanità e la civiltà moderna. La narrazione rimane aperta ad ogni elemento insolito. Lo sguardo per le cose marginali, quelle che sembrano rappresentare solo un valore di contorno, ma che in realtà mirano alla centralità del tema, è la costante delle sue pellicole. È il mondo delle origini, un viaggio tra paesaggi terrestri e marini alla scoperta di popoli e animali scampati all’abbraccio mortale della civiltà. Quelle di Salgado non sono foto di denuncia, non c’è una critica esplicita alla follia dell’uomo che uccide il pianeta che lo nutre e su cui vive. Sono immagini emozionanti della parte integra, ecologicamente pura, della Terra, che è ancora tanta e va protetta. “Il mio approccio non è da antropologo, geologo o giornalista, spiega Salgado, ma è quello di mostrare qualcosa la cui visione mi ha toccato nell’intimo. La scoperta più forte, è stata trovare tribù indigene totalmente incontaminate e comprendere che hanno già tutto l’essenziale, un’idea di società, di solidarietà, di amore, perfino medicine come gli antibiotici e antidolorifici".

Regia: Wim Wenders,Juliano Ribeiro Salgado
Origine: Brasile, 2014
Distribuzione: Officine Ubu
Durata: 100' 

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