Il signore degli anelli – Le due torri, di Peter Jackson

Jackson rielabora le leggi della narratologia, recupera un’opera letteraria molto complessa e la utilizza per valorizzare l’essenza fantastica del cinema. Ancora più bello del precedente.

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«Ma qualcuno racconterà di noi nelle canzoni e nelle storie? Chiederanno di narrare la leggenda di Frodo e dell’Anello?». Lo chiederanno, caro Sam, giardiniere hobbit accompagnatore di Frodo Baggins nel suo viaggio attraverso la Terra di Mezzo. Anzi, la saga di Tolkien un degno evocatore l’ha trovato. Perché Peter Jackson con questo Il signore degli anelli – Le due torri si consacra definitivamente “storyteller”. Un narratore che al posto della macchina da scrivere ha quella da presa, oltre ai miliardi della New Line che gli permettono di dispiegare una Santa Barbara immaginifica senza precedenti. Il carattere colossale di questa produzione è direttamente proporzionale alla sua resa sul (grande, grandissimo) schermo, con l’epica battaglia di oltre trenta minuti a dominare buona parte del film. Si potrà facilmente obiettare che un tale impatto visivo, enfatizzato dalla messa in scena e dagli effetti speciali, sia un poco ipnotico: impossibile per lo spettatore sottrarsi alla convinzione che sia tutto bellissimo, ma difficile anche andare oltre la superficie spettacolare delle cose. Invece no, non è semplice entertainment. Perché Jackson con il suo Anello rielabora le leggi della narratologia, recupera un’opera letteraria molto complessa (nei confronti della quale si permette rispettose infedeltà) e la utilizza per valorizzare l’essenza fantastica del cinema.

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La scrittura del movimento penetra tra le pieghe del racconto di Tolkien, si impossessa dei suoi fantasmi, di quei personaggi che pensavamo potessero vivere solo sulle pagine o nella fantasia di ogni lettore. Insieme a loro compie un viaggio in un territorio che non è più la Terra di Mezzo della Trilogia letteraria ma quello (solo cinematografico) delle illusioni fisiche, degli afflati palpabili, delle finzioni visibili, delle magie reali. L’imponenza delle Due Torri sta nella macchina produttiva di Jackson, non un regista ma un demiurgo: al posto dell’argilla dà vita a suggestioni pure, ritornando al grado zero di una avventura che è già di per sé simbolo di un tipo di cinema (amore, guerra, lacrime, sangue: in una parola sola, emozione).

La radice classica incontra la tecnologia, sposa la modernità all’ombra della torre di Saruman. Il digitale crea scenari maestosi e forme fluide (strepitoso il Gollum) in sequenze dove magari si ricorre alla semplice prospettiva per suscitare meraviglia (i piccoli hobbit sotto i cavalli…), come ai tempi dei viaggi fantastici di Sinbad. Hollywood come dovrebbe sempre essere. Qualcuno ha dunque saputo raccontare la storia infinita dei popoli che vivono e lottano nella Terra di Mezzo. Con un’empatia nei confronti della macchina spettacolare che ha ancora qualcosa di genuino, autentico, sensazionale. Perché la differenza tra Peter Jackson, George Lucas e Steven Spielberg sta nella natura del loro “pensare in grande”. Jackson riesce a raccontare il suo mondo mitico-fiabesco attraverso occhi da ragazzino. Un po’ come Sam Raimi, che insegue Spider-Man con macchina da presa ad altezza di adolescente. Jackson e Raimi, nonostante le esigenze industriali del loro lavoro recente, non hanno perso l’entusiasmo di chi “gioca”. Il regista neozelandese si è immedesimato fino a farsi tatuare, per sempre, il simbolo elfico della Compagnia dell’Anello insieme agli attori principali. La meraviglia e lo stupore hanno preservato Jackson (e Raimi) dalla blockbusterizzazione dell’immaginario che invece snatura irrimediabilmente il cinema di Lucas e Spielberg. Ragionieri del fantastico con ormai nessuna voglia di giocare.

 

Titolo originale: The Lord of the Rings: The Two Towers
Regia: Peter Jackson
Interpreti: Elijah Wood, Ian McKellen, Viggo Mortensen, Liv Tyler, Sean Astin, Cate Blanchett, Orlando Bloom, Christopher Lee, Dominic Monaghan, Hugo Weaving, Miranda Otto, Brad Dourif, Andy Serkis
Distribuzione: Medusa
Durata: 179′
Origine: Nuova Zelanda, USA 2002

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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