Il signore delle formiche, di Gianni Amelio
Liberamente ispirato al caso Braibanti, un frammento di Storia italiana mostrata come un torbido noir dove l’emotività e il dolore prendono il sopravvento sul racconto. Concorso
Un caso di cronaca mostrato come un torbido noir. Sono le stesse atmosfere che attraversano il cinema di Gianni Amelio quando emerge, sottotraccia, la violenza dei poteri dello Stato come in Porte aperte. Sotto certi aspetti, i due film sono quasi speculari. In Porte aperte Tommaso Scalia chiede di essere fucilato così come in Il signore delle formiche Braibanti dice che non c’è niente da cui si deve difendere. C’è rassegnazione, sfiducia, debolezza. E la figura del giornalista de “L’Unità” Ennio, interpretata da Elio Germano, richiama direttamente quella del giudice Di Francesco interpretato da Gian Maria Volonté in Porte aperte. Da una parte l’Italia degli anni Trenta, dall’altra l’Italia degli anni ’60. Nulla sembra cambiato però nella rappresentazione del cinema regista di un paese dove prevalgono ottusità e discriminazione, dove i giudizi sono nascosti nei silenzi e amplificati dagli sguardi o nella risata chiassosa di un avvocato.
Liberamente ispirato ai fatti accaduti in Italia negli anni ’60, Il signore delle formiche ha come protagonista il drammaturgo e poeta Aldo Braibanti che era stato condannato a nove anni di reclusione con l’accusa di avere plagiato, sia dal punto di vista fisico e psicologico, un ragazzo poco più che maggiorenne che poi è stato rinchiuso dalla sua famiglia in un ospedale psichiatrico.
Amelio porta sullo schermo una storia a più voci dove il punto di vista dello spettatore sul protagonista s’incrocia con quello degli altri personaggi. Parte sulle rive del Tevere, quasi un Riso amaro con Germano con cappello in testa che, fisicamente, sembra uscito da un post-noir italiano del dopoguerra, segue la ricostruzione di quel decennio con la meticolosità di Così ridevano dove però non è il set a prevalere sulla storia. Amelio si approccia al caso del protagonista, già portato sullo schermo dal bel documentario Il caso Braibanti di due anni fa, unendo una meticolosa ricerca di materiali evidenziati dalla sceneggiatura scritta con lo stesso regista assieme a Edoardo Petti e Federico Fava, con un approccio umano dove il volto sofferente di Lo Cascio ricorda quello del Pasolini di Willem Dafoe del film di Abel Ferrara, già predestinato dalla Storia. Braibanti vive recluso come Bettino Craxi in Hammamet. Prima delle mura del carcere, sono proprio le strade, il clima dell’Italia di quegli anni ad essere soffocanti. A tratti è trattenuto (il dettaglio delle formiche del titolo) ma forse serve per far uscire alla distanza la figura di Braibanti, che poteva anche arrivare dal cinema di Visconti di cui si sentono le tracce nella scena del casale. Si vede quando litiga su “Il disprezzo” di Moravia, quando libera il malessere e la gelosia nel piano-sequenza in cui cerca Ettore, nelle sue foto segnaletiche e impronte digitali dove da quel momento la sua figura resta sul confine tra ricostruzione e verità da far tornare a galla.
Luigi Lo Cascio sembra uscito da Bellocchio ma anche Elio Germano offre una prova di alto livello. Amelio ritrova la compattezza ma anche la passione dela sua filmografia migliore, soprattutto quando dalla cronaca sprigiona il suo cinema nel raccontare l’Italia come aveva fatto con il terrorismo in Colpire al cuore. I libri sono l’arma come in François Truffaut. “Un dottore ha detto che ai giovani fanno male i libri che hanno meno di 100 anni”. Un po’ Fahrenheit 451. Al posto delle pagine scritte e l’inchiostro ci sono le voci e le idee. Gli eventi accaduti – la famiglia che fa portare via Ettore, l’ospedale psichiatrico, il processo, la protesta degli attivisti che difendono Braibanti – sono alla fine le scene-chiavi ma, paradossalmente, più lineari. Forse lì, a livello di scrittura soprattutto, potevano essere anche più alleggerite. Resta invece il dolore – vero, straziante – con cui il cinema di Amelio ha raccontato Braibanti. L’emotività, i segni che quella storia sembrano avergli lasciato negli anni prevalgono sulla necessità di rendere accessibile la storia al pubblico. Non c’è equilibrio tra soggettività e racconto, ma chi se ne frega. Anzi, è proprio qui che Il signore delle formiche dialoga direttamente di nuovo con Porte aperte. Amelio ritrova i suoi anni ’80 e inizio anni ’90. Questo film poteva anche essere realizzato in quel periodo. Quando il suo cinema è ‘senza tempo’, ritrova la spinta per il suo ‘viaggio in Italia’.
Regia: Gianni Amelio
Interpreti: Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Sara Serraiocco, Leonardo Maltese, Anna Caterina Antonacci, Rita Bosello, Davide Vecchi, Maria Caleffi, Roberto Infurna
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 134′
Origine: Italia, 2022