Il traditore tipo, di Susanna White

Dentro un film perfettamente bilanciato la scheggia impazzita rappresentata da Stellan Skarsgård riesce a rendere Le Carré estremamente umano

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Le Carré è entrato già da anni nella Britannica sotto i sinonimi di “cospirazione” o “doppio gioco” grazie alla vastità della sua produzione letteraria, che inesorabilmente si è riversata anche nel cinema. Le sue storie piene di colpi di scena sembrano già scritte per essere portate su un grande schermo e Il traditore tipo, con i suoi continui cambi di scenario, appartiene certamente a questa lista. Ewan McGregor è il tipico uomo che sapeva troppo al posto sbagliato al momento sbagliato. Durante un romantico fine settimana in Marocco si fa convincere da un pezzo grosso della mafia russa a trasmettere informazioni riservate ai Servizi Segreti britannici, scatenando l’attesa centrifuga di inseguimenti a perdifiato in giro per l’Europa.

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Alle prese con un thriller, la regista Susanna White (Tata Matilda e il grande botto oltre ad una gavetta nelle Serie Tv inglesi) ha potuto finalmente “mostrare i muscoli” (sua espressione) con una regia costantemente in movimento che spazia dai deserti nordafricani ai palazzi di vetro della City londinese, dimostrando di saper usare con destrezza i fondamentali del genere. Come Hitchcock insegna si privilegia la suspance all’effetto sorpresa, a costo di trasformare ogni situazione in una camera pressurizzata in cui trattenere il fiato. E Il traditore tipo queste regole non scritte le rispetta alla lettera, serrando sempre più i ritmi del montaggio e usando ogni preteso narrativo come un’occasione per rigirare a trecentosessanta gradi l’intreccio. 

Il risultato finale è consono agli standard dell’industria britannica, estremamente godibile fino al punto in cui ti accorgi quanto la professionalità a volte tende a normalizzare eccessivamente il prodotto, a renderlo fin troppo scolastico. In quel momento arriva la sagoma da orso bruno di Stellan Skarsgård a far saltare in aria tutta la precisione inglese, a dominare con il suo carisma ogni inquadratura che lo vede coinvolto. Il suo Dima, un oligarca della mafia russa, è la ragione per la quale vale la pena passare cento minuti del vostro tempo davanti a Il traditore tipo. La sua fisicità esce dai contorni e trasforma quello che poteva essere un personaggio bidimensionale in un grumo doloroso, che porta marchiati sulla pelle i segni di una vita vissuta secondo un codice tutto suo. È il corpo che giustifica l’ossessione di Le Carré per la quale chi sta distruggendo il nostro mondo non ha i tatuaggi ma si distingue per i colletti bianchi delle camicie. Con Dima ci crediamo sul serio.

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