Il vegetale, di Gennaro Nunziante

Fabio Rovazzi ha sul serio l’istinto giusto per rinnovare finalmente la somma scuola della comicità milanese, ma Nunziante opta per una messinscena innocua e riconciliante, ed una farsa smussata

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L’esordio di Fabio Rovazzi sul grande schermo sembra quasi essere stato pensato apposta per confermare che i fenomeni del web non funzionano al cinema. Conoscendo l’abituale scaltrezza di Gennaro Nunziante, uno potrebbe davvero concludere, per assurdo, che l’autore abbia sistematicamente voluto smussare qualsiasi affondo della sua opera, saldamente ancorata ad una messinscena riconciliante, innocua, rassicurante, giusto per dimostrare l’assunto sull’incompatibilità tra i beniamini della generazione della rete e l’approdo sui set cinematografici. La speranza è che il pubblico smentisca la teoria, e Nunziante ribalti in questo modo ancora una volta le statistiche sull’esodo degli italiani dalle sale, e però indubbiamente, vista così, la vicenda del protagonista Fabio potrebbe quasi assumere i toni della metafora.
Dopo tante peripezie a vuoto per conquistare i grattacieli di Milano e regnare su Piazza Gae Aulenti e Porta Garibaldi, la stazione finale della felicità scovata nell’azienda agricola biologica di successo, a piantare pomodori e estirpare verdure organic, è la presa di coscienza definitiva di aver scoperto la location infallibile per installarsi a svernare nei terreni coltivati del cinema italiano da commissionamento purissimo. Quello cioè da qualche anno puntualmente dislocato nelle masserie virtuose in cui unire l’attrattiva paesaggistica con l’esigenza dell’impegno a km 0, una realtà senza alcun appiglio non meno sospesa e simulata dello stesso bosco verticale.

Concettualmente non siamo forse troppo lontani dalla Norvegia che poi deviava sull’Africa del precedente Quo vado, ma stavolta (all’ombra della distribuzione Disney…) Nunziante sembra aver deciso di tenere a freno quella sua abilità disturbante e anche grossolanamente scorretta con la farsa, che sulle tematiche di migranti, lavoro nero, lotta di classe (media) all’italiana si allena dai tempi della leggendaria Tele Durazzo su Telenorba.
Manca Checco Zalone a far saltare in aria il banco? Probabilmente non è tutto lì l’intoppo, anche perché Rovazzi ha sul serio l’istinto giusto per rinnovare finalmente la somma scuola della comicità milanese da troppo tempo in stallo nonostante I soliti idioti. Seppur limitato ad un timido nonsense e a sparutissimi sketch fisici tutti dinoccolati, il giovane campione di visualizzazioni dimostra qui di possedere quella malinconia struggente unita a quel gioco tipico di ritardo e raffreddamento dei tempi comici che avrebbero potuto portare il film nella zona degli Aldo, Giovanni e Giacomo meglio riusciti, giusto per restare alle epoche recenti.

Peccato allora che nessuno sembri crederci fino in fondo per davvero (è emblematico che Rovazzi non abbia neanche tirato fuori un mezzo tormentone da “intonare” sui titoli di coda). A partire probabilmente da Luca Zingaretti spalla claudioamendolesca senza la giulia, per finire con lo stesso Nunziante pigramente adagiato su espedienti ministeriali come l’invasivissima voce narrante che ci accompagna sin dal primo fotogramma. Alla base di tutto c’è verosimilmente un grosso equivoco sul target di riferimento, esplicitato in maniera incontrovertibile dall’apparizione abissale di Barbara D’Urso as herself.
Per contro, va confermata la sensibilità di Nunziante sul tono sentimentale, l’intera sezione dedicata all’innamoramento tra Fabio e la maestrina interpretata da Paola Calliari è portata a casa con la mano più fortunata e leggera di tutto il campionario del film.

Regia: Gennaro Nunziante
Interpreti: Fabio Rovazzi, Luca Zingaretti, Ninni Bruschetta, Paola Calliari, Rosy Franzese, Matteo Reza Azchirvani, Alessio Giannone
Origine: Italia, 2018
Distribuzione: Disney
Durata: 90′

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