Il verde prato dell’amore, di Agnès Varda

Varda mette in scena un idillio in realtà terrificante, una riflessione sull’amore, il rapporto di coppia e le sue libertà. Orso d’argento al Festival di Berlino. Su MUBI

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Non ci abitueremo mai alla scomparsa di Agnès Varda. La vediamo ancora girare a bordo di un furgoncino per la campagna francese o seduta sulla spiaggia, con il mare che raccoglie pezzi di vita e li trascina via. Perché i luoghi sono parte di chi li abita, come i personaggi dei suoi film, spesso rappresentati a colloquio intimo, difficilmente percettibile, con l’ambiente con cui condividono la loro esperienza. Du sentiment de la nature. Una natura che con le sue leggi può essere devastante, che cerca di imporsi sulla giovane coppia di La pointe courte – “se è contro natura, la natura si vendicherà”, dice lei – dovendosi alla fine accontentare del ruolo da spettatrice. Una natura che mette alla prova Cléo, anche con un velo d’ironia, e che accompagna simbolicamente la sua rinascita lontana dalla paura. Una natura che già in apertura prefigura la sorte degli sposini di Le bonheur, con un montaggio che alterna ripetutamente un girasole rigoglioso a un gruppo di tre appassiti – il titolo italiano mantiene questo tono divertito e dissonante.

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Quello di François e Thérèse è un matrimonio davvero felice, autentico; una favola calata nel reale che non può durare in eterno. Varda, però, non mette in scena la classica rottura, né prende posizione nei confronti di un sistema. È vero, dalle prime immagini – il picnic e la passeggiata nei boschi – il pensiero corre come una carrellata a Jean Renoir e al suo film che, non a caso, vediamo trasmesso in tv; nella scena si parla di evoluzione – o rivoluzione, dipende dal punto di vista – della specie e il protagonista sostiene che “la felicità è la sottomissione all’ordine naturale”. Non per (tutti) i personaggi di Varda, che si muovono con una spontaneità destabilizzante al di sopra della regola, del credo comune, di quella fede cieca e moderna che deriva dalla società. La felicità può allora essere ripensata alla stregua di una semplice teoria matematica, additiva, come le inquadrature con i dettagli dei due amanti che vanno a costituire un insieme, dove l’aggiunta di un elemento permette di allargare il giardino delle delizie ma anche di avere maggiore coscienza di sé: “Sono ancora più me stesso”, le confida François quando le spiega il suo pensiero. E cosa succede se viene meno uno degli addendi? Assolutamente nulla: si ricomincia da capo a piantare alberi in attesa di poterne cogliere i frutti.

Varda gioca con l’immaginario più vario come farebbe una bambina, divertendosi a lasciare ovunque tracce del suo passaggio: dalla coppia di leoni nella savana agli sposi di Chagall sollevati in volo dal loro sentimento; dalle foto di donne e dive del cinema appese alla credenza, al film che François e Thérèse scelgono di andare a vedere – chi preferisci tra Bardot e Moreau?, gli chiede la moglie; da due giovani sconosciuti che si baciano, ai cartelli sulle vetrine (“tentazione”, “mistero”) che fanno da didascalia al primo appuntamento con Émilie. Varda fa esplodere sulla sua tela un ventaglio di colori, accostati per affinità o per contrasto, che sembrano rubati direttamente a Les parapluies de Cherbourg, al punto che non sarebbe assurdo sentire i personaggi cantare. Anzi, il film stesso potrebbe essere un musical. E in parte lo è con il suo commento musicale persistente e gioioso che corona un idillio in realtà terrificante.

Tra François e Thérèse non c’è mai stato disprezzo, né in lui sembra sussistere un senso di colpa, seppur accennato, a seguito del tragico evento. Da qui ogni cosa è sommessa, taciuta, appena visibile – i flash degli ultimi attimi di Thérèse; siamo spinti in un limbo da cui è impossibile uscire: resta il dubbio. E con i fiori che tornano in un ciclo di stagioni eterno, veniamo di nuovo gettati in una realtà domestica che ora è ripetizione, incubo, una trappola potenzialmente mortale. Forse siamo in un film di Polanski.

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Titolo originale: Le bonheur
Regia: Agnès Varda
Interpreti: Marie-France Boyer, Jean-Claude Drouot, Claire Drouot, Marcelle Favre-Bertin
Durata: 78′
Origine: Francia, 1965
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.91 (11 voti)
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