"Il vestito da sposa", di Fiorella Infascelli

Una storia di amore e violenza, dove il vestito da sposa, prima bianco di purezza poi tinto di un colore rosso impossibile da rimuovere come il sangue delle ferite, segna e accompagna il tragico e un po' improbabile destino della protagonista.

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Prima ancora dell'inizio del film c'è il titolo: un vestito da sposa. Un tessuto leggero, soffice, candido, che nel suo biancore racchiude la speranza di una vita serena. Poi, l'inizio del film. Un sacco di iuta sporco e puzzolente, un tessuto slabbrato e violentemente evocativo: una ragazza lo odora e ricorda qualcosa. Questo qualcosa è ciò che unisce i due oggetti di stoffa e dà l'avvio al lungo flashback che costituisce il film stesso.

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Come un melodramma del passato, Il vestito da sposa è costruito con una struttura circolare, con la linea narrativa che evidenzia il destino di ineluttabile ripetizione cui è condannata la protagonista. La vicenda della giovane Stella, prima selvaggiamente violentata alla vigilia delle nozze, poi riportata alla vita dall'amore del suo sarto, è segnata fin dall'inizio dal superamento della soglia di non ritorno e, di conseguenza, dall'impossibilità di porre rimedio alla tragedia. Lo stupro marca a fuoco la psiche di Stella e, metaforicamente, macchia di sangue quel vestito da sposa che le avrebbe invece permesso il varco di un'altra soglia, quella della felicità e dell'amore.


Dopo la violenza, finito l'amore per il fidanzato, Stella scivola lenta e inconsapevole verso la tragedia che ormai la possiede. L'uomo del quale si innamora è il sarto che aveva cucito il suo vestito, ma, purtroppo, come lo spettatore sa fin da subito, anche uno dei suoi stupratori: il vestito, dunque, è l'oggetto-valore che genera il destino di Stella e, come se non l'avessimo capito, viene anche tinto di rosso per dimenticare la primigenia purezza e prendere coscienza della ferita inferta dalla violenza.


Il risultato della tintura, però, non è un colore rosso fuoco ma un arancione pallido e un po' smorto. Pallido e smorto, dopotutto, come l'avvicinamento alla conclusione della vicenda: le prime (ridicole) avvisaglie della follia dell'uomo, lo svelamento dell'orrore attraverso l'odore del sacco, la tragica scoperta della verità. È la fine di tutto, la più drammatica possibile, anche se a questo punto lo spettatore ha smesso già da tempo di credere alla deriva della povera Stella e ha cominciato a sorridere della sua improbabile discesa nell'orrore.


 


Regia: Fiorella Infascelli


Sceneggiatura: Fiorella Infascelli


Fotografia: Marco Sperduti


Montaggio: Roberto Missiroli


Musica: Andrea Guerra


Scenografia: Simona Garotta, Luciano Ricceri


Costumi: Paola Bonucci


Interpreti: Maya Sansa (Stella), Andrea Di Stefano (Franco), Salvatore Lazzaro (Andrea), Piera Degli Esposti (Giselda, madre di Stella), Pierpaolo Lovino (Umberto), Mauro Marchese (Augusto), Pietro Faiella (Niky), Alberto Cracco (proprietario della pasticceria)


Produzione: Carlo Degli Esposti per Palomar


Distribuzione: Istituto Luce


Durata: 105'


Origine: Italia, 2003

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