Ils sont vivants, di Jérémie Elkaïm

Dall’Efebo d’Oro 2022 di Palermo, Ils Sont Vivans è una storia d’amore interrazziale che invita lo spettatore a rivedere la propria posizione di fronte alla tragedia dell’immigrazione

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“Non avrei mai immaginato di potermi trovare, all’alba di un giorno di maggio del 2016, sulla spiaggia del Pas-de-Calais abbracciata a un migrante iraniano, che stringevo a me con la forza disperata di un naufrago. Prima del mio incontro con Mokhtar e con tanti altri migranti, non mi ero mai chiesta quanto coraggio, quanta forza e quanta dignità servissero per arrivare fin qui partendo dall’altra parte del mondo. Arrivare senza niente. Senza nessuno. Completamente soli.” Beatrice Huret

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Cambiare la propria visione sul problema dell’immigrazione dopo avere sperimentato di persona la sofferenza e le condizioni di vita degli immigrati clandestini a Calais, nel nord della Francia. E’ un film attuale quello di Jérémie Elkaïm, che mostra come troppe volte il giudizio sommario sulle vite degli altri soffra di luoghi comuni pericolosi. Beatrice Huret (una fenomenale Marina Foïs) è una vedova ultra quarantenne che sperimenta per la prima volta la libertà da un marito manesco, membro del Fronte Nazionale. Fa l’aiuto infermiera in un Ospedale geriatrico e un giorno si imbatte in un giovane sudanese che scappa verso l’Inghilterra. Verrà a conoscenza della “Giungla” di Calais, un campo dove vengono radunati gli immigrati clandestini prima della registrazione ufficiale e cambierà con il tempo tutti i preconcetti razzisti e intolleranti.
Jérémie Elkaïm per il suo primo lungometraggio adatta il libro Calais mon amour di Béatrice Huret (scritto con l’aiuto di Catherine Siguret) che racconta fatti realmente avvenuti nella primavera del 2016. Pur partendo dal cinema sociale di Ken Loach e dei fratelli Dardenne, l’opera sviluppa maggiormente l’aspetto melodrammatico della storia d’amore tra Béatrice e il maestro iraniano Mokhtar (Seear Kohi), in fuga dal proprio paese per motivi politici. Jérémie Elkaïm è molto bravo a dosare nel tempo i cambiamenti emotivi della protagonista la cui durezza e cinismo vanno pian piano sciogliendosi con una maggiore empatia verso il popolo dei rifugiati. Ma è l’innamoramento per Mothkar che le regala quella tenerezza mai sperimentata prima: adesso non può essere indifferente, adesso le notizie su Internet sul naufragio dei barconi la colpiscono in prima persona. Le barriere del pregiudizio cadono con le barriere linguistiche: Beatrice e Mokthar comunicano attraverso il computer e il cellulare aiutandosi con il traduttore simultaneo. Soffermarsi prima di esprimere un giudizio, tenere in conto fatti e situazioni con oggettività. All’inizio Béatrice giudica malamente Ingrid (Laetitia Dosch) una volontaria francese che divide il letto con un clandestino africano. La vita le insegnerà che le cose non sono spesso quello che sembrano. Béatrice vede nella diversità di Mokthar la possibilità di un progetto di vita alternativo, fuori dalla vita borghese con tutte le sue intolleranze ed egocentrismi. Il gesto di aprire la propria casa ed accogliere le persone in difficoltà è il primo passo verso un cambiamento di pensiero. Alla empatia e condivisione Béatrice fa seguire fatti molto concreti mentre attorno tutti la mettono in guardia sulle conseguenze legali dei suoi gesti. La razzista si trasforma in una attivista che aiuta in tutti i modi i clandestini ad attraversare la Manica per approdare in Inghilterra. I familiari prima irremovibili nella loro condanna morale, cambiano anche loro atteggiamento trascinati dalla coerenza e dalla umanità di Beatrice. Jérémie Elkaïm gira delle scene d’amore molto caste ma emotivamente coinvolgenti (il primo bacio, il primo rapporto sessuale) concentrandosi sui primi piani dei due attori. La macchina da presa diventa più nervosa quando si immerge nella “giungla” infernale di Calais o quando deve raccontare le peripezie per fuggire dalla Francia.

Presentato in concorso a Palermo all’Efebo d’Oro, Ils sont vivants è una storia d’amore interrazziale che invita lo spettatore a rivedere la propria posizione di fronte alla tragedia dell’immigrazione. Nonostante qualche caduta retorica nel finale rimane il viso di Marina Foïs a raccontarci l’alternanza di gioia e dolore con il precipitare degli avvenimenti. Lo sguardo aperto verso l’alto è anche uno sguardo disponibile verso l’altro. Marina e Mokthar sono individui liberi: la prima dalle catene di una prigione esistenziale e il secondo dalle ingiustizie di una condanna per autonomia di pensiero. L’incontro tra razze non è più motivo di odio, ma arricchimento culturale e confronto.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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