Imaculat, di Monica Stan e George Chiper-Lillemark

Bianco, essenziale, di fatto immacolato, una precisa idea di cinema con una coraggiosa sperimentazione di forme della rappresentazione. Vincitore delle Giornate degli Autori e Premio Opera Prima

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Bianco, essenziale, di fatto immacolato il centro di recupero per tossicodipendenti dentro il quale finisce Daria. Poco più che diciottenne sarà preda dei desideri dei ragazzi che condividono con lei le stanze e le camerate.
Imaculat di Monica Stan e George Chiper-Lillemark è un film dall’impianto essenzialmente teatrale e se non lo è nella sua fattura, con la camera sempre stretta sui personaggi e l’inquadratura sempre piena di volti e mani, con una precisa scelta con la quale si è deciso di escludere dalle immagini ogni altro elemento che non siano i personaggi, lo è sicuramente nell’assunto con la spogliata essenzialità e il suo candore visivo, che non esattamente corrisponde alla condizione in cui si trovano i personaggi.
Il film dei due registi rumeni non è un film sulla tossicodipendenza, né tanto meno sulle condizioni della vittima della droga, quanto piuttosto, nella sua allegoria quasi esplicita e la rarefazione degli ambienti, della storia, dei personaggi e della sua distanza da ogni contestualizzazione sociale, un film sulla dipendenza tout court. Daria è sicuramente preda della sua dipendenza dalla droga, ma è soprattutto disarmata e dipendente dal ragazzo che l’ha portata sul quella tortuosa e pericolosa strada. Sono proprio i rapporti di forza, all’interno, ma anche all’esterno del Centro di recupero a costituire la centralità del film, a determinare le gerarchie e tutto avviene soprattutto nell’ottica della dominazione sessuale, ma anche di un opposto sentimento di protezione a volte quasi paterno. La virginale Daria con il suo fare ambiguo, diviso tra negazione e concessione, lascia spazio al realizzarsi del desiderio e al costruire prospettive future che saranno puntualmente negate. Il film entra in queste dinamiche di gruppo che sono inclusive o escludenti e lavora su più piani in queste direzioni e più latamente, riguardano non solo il personaggio di Daria, ma anche degli altri suoi compagni di disavventura. Si tratta evidentemente di tensioni e relazioni che creano in qualche misura dipendenza, che si creano e si sviluppano dentro le comunità di qualsiasi tipo che si fondino su una convivenza più o meno forzata. Sotto questo punto di vista il film sembra rappresentare un esperimento sociale con le sue derivazioni piscologiche e gli effetti sui caratteri di ogni singolo.
Il film nasce da un’esperienza personale di Monica Stan e nella sua radicalità formale esprime a dovere il fondamento delle relazioni all’interno di un luogo di costrizione.

È un cinema che nasce da una interiore e forte elaborazione e che, ha, evidentemente, anche lo scopo di concludere questo lavoro sulla propria personalità e intimità, il che avviene proprio attraverso la costruzione di una scrittura dalla quale traspare il lavorio interiore e la ricerca di risposte alle numerose domande che nascono in una condizione come quella. È anche vero però che il film, nella forma narrativa scelta, oppressiva e a volte asfissiante, sembra compiacersi eccessivamente di questa soluzione non trovando spesso vie d’uscita se non il prevedibile taglio di montaggio. I due registi rumeni, con tutte le buone intenzioni, a volte sembra perdano di vista il baricentro del loro argomentare perdendosi nella reiterazione di situazioni con al fondo i temi concettuali sui quali il film è costruito, con l’effetto non solo di diluizione del tema in una narrazione che appare prolissa.
Ancora una volta il cinema rumeno sa stupire, sa raccogliere attorno a sé l’interesse necessario per porre il lavoro di questi autori al centro di una più vasta attenzione e pur con i suoi difetti, Imaculat conferma la buona, se non ottima, qualità del percorso autoriale che avviene ormai da anni e qui, con la coraggiosa sperimentazione di forme della rappresentazione e della messa in scena, che resta sotto il profilo strettamente artistico il dato principale e più interessante del film, l’esito si carica di ulteriore interesse. È per questo che i suoi autori meritano, al di là di ogni altro giudizio espresso, ogni dovuta considerazione. La loro precisa e rigorosa idea di cinema è frutto di una ricerca attenta che diventa struttura solida e sapiente sguardo sull’immagine e sulla rappresentazione, temi centrali che occupano il lavoro di ogni autore.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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