In aula con Dotto' (Indiana) Jones Calopresti: quando il Cinema è un'avventura

Divagando tra la sostanza della realtà, storie di vita vissuta e i problemi del contemporaneo, Mimmo Calopresti racconta il (suo) modo di fare Cinema

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Mimmo CaloprestiVenerdì 19 marzo, mentre Mimmo Calopresti percorreva gli spazi di Sentieri Selvaggi, veniva quasi naturale accompagnarlo con il tema musicale di Indiana Jones. Nulla è infatti più indicato nel presentare questo regista italiano traboccante di entusiasmo ed afflato narrativo; una persona che con bambinesca convinzione afferma: “Ciò che mi piace del cinema è che è un'avventura”. Sì, perché lui ha iniziato “in maniera selvaggia […] da un'idea di indipendenza” con i suoi amici. Complice, una stimolante Torino degli anni '80, costituita da giovani, dibattiti socio-politici e accessi culturali reali, come quel Festival Cinema Giovani – ora diventato il Festival di Torino – coprotagonista dell'idea in cui “fare cinema indipendente significava viverlo, il Cinema”.
Vivere il Cinema è vivere la realtà. E ciò è un'avventura, in quanto “la realtà è difficile da riprodurre”, come noi la vediamo. “L'unica cosa è viverla”, ovvero interpretarla attraverso noi stessi. “L'obbligo è di conoscere la realtà. È vivere la vita. È un mondo da scoprire. È bello”.  Volendo essere pragmatici, la realtà (e l'arte) di Calopresti è composta di storie di persone. “Tutte le volte che racconti una persona, racconti un mondo”.
    E allora via! Si parte! Alla scoperta di nuovi mondi-persone! Come in uno dei primi corti Fratelli minori, documentario sulla vita di alcuni frati del monastero di Montepulciano. Come nel primo lungometraggio La seconda volta, nato dopo un estenuante lavoro in carcere con i terroristi delle BR. Estenuante, perché quei membri della lotta armata, dimostravano un disarmante distacco dalla realtà. Calopresti si stupì, quando gli fu palese, che nonostante l'intero Paese parlasse dei brigatisti, loro non avrebbero raccontato le loro storie. Ci pensò lui, realizzando questo film di fiction, sulla base dei racconti “rubati” in carcere.  La differenza sostanziale tra documentario e fiction, nel caso di Calopresti, è quindi praticamente inesistente. Perché “la realtà è finzione, perché la vita è realtà e finzione e il regista deve lavorare su questa scissione ed equilibrare le due parti”.  Perchè la sua esigenza di raccontare (storie di) persone è supportata da un modus operandi ed un'accuratezza da antropologo, il quale fa del rispetto il principio del suo lavoro. Perché il suo è un cinema sulle (e di) persone: “la preparazione di un film è forse la cosa più bella, perché raduna la gente”, ovvero tutti gli elementi per la nascita di una pellicola.

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Mastroianni-Fellini set otto e mezzo
    E tra una storia e un'altra, in sala, era come trovarsi nel finale di 8 ½ : Dottor Jones-Calopresti, si trasformava nel Dotto' Fellini-Mastroianni: “Dolcissime creature [… ]com'è giusto accettarvi, amarvi. E com'è semplice!”.
Tra un mondo e un altro, si percepisce l'affetto che Calopresti riversa nelle persone che lo circondano e che lo omaggiano della propria storia; la benevola accettazione del loro mondo; il dolce assumere i loro racconti e scriverli con la macchina da presa, nel modo più semplice possibile, perché “le storie nascono in maniera molto semplice”.
È una favola. E non c'è favola senza antagonista: “in Italia il problema è il produttore”. Praticamente, non c'è. Non rischia, non si compromette o, per dirla tutta, non vive il suo presente. Il cinema italiano che ha fatto la storia, “era in presa diretta” con la vita del Paese. “Tognazzi e Gassman, si seguivano come le serie tv”. Mentre ora l'azione che contraddistingue l'Italia è la lentezza, se non l'immobilità.
In una realtà, in cui la maggioranza dei film non esce più in sala, il produttore italiano cerca il successo mirando alle pellicole nei cinema. Un sistema così vecchio va contro il mercato e non può far altro che morire su sé stesso.
    Sconfortante storia per gli aspiranti registi in sala, ma Dotto' Jones-Calopresti riesce a risollevare gli animi raccontando come Rossellini ha realizzato Paisà: con ogni espediente: lecito e illecito. Questo perché “se vuoi fare cinema, lo fai con ogni mezzo”. E, descrivendo il contemporaneo, come un'era in cui la democratizzazione di strumenti creatori di immagini è assoluta, afferma che ciò che ha fatto Rosselini, “equivale a quello che uno fa col telefonino”. E dopo aver invitato il pubblico in sala a realizzare il capolavoro del cinema con quel mezzo, Mimmo Calopresti veniva rapito dai nazisti. O forse no… Dissolvenza in nero. FINE.

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