“In carne e ossa”, di Christian Angeli

Alba Rohrwacher In Carne e Ossa
Una famiglia tenuta insieme da un insano bisogno reciproco, una ragazza malata, uno straniero venuto per aiutare o per distruggere definitivamente. Il film, che vanta come fiore all’occhiello l’intensa interpretazione di Alba Rohrwacher, non riesce a generare quel perturbante che i temi trattati adombrano, e volge troppo spesso il clima di angoscia in ridicole forzature. Al Filmstudio fino al 14 novembre

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Alba Rohrwacher In Carne e OssaUn film dall’impianto profondamente teatrale: interni decorati con drappi scuri, che moltiplicano l’effetto claustrofobico; dialoghi alienanti, che di tanto in tanto cedono il passo a note di pianoforte o a suoni acidi di chitarra elettrica. Nella sua opera prima, Christian Angeli ha cercato di raccontare una guerra familiare quasi fosse una guerra fra vampiri: un padre, una madre, una figlia, uniti dal bisogno, confinati in una villa decadente in campagna per scontare qualcosa che solo uno dei tre ha commesso. Viola (Alba Rohrwacher) è malata: rasenta l’anoressia, soffre di depressione. Nella villa arriva un giovane psichiatra, e si trattiene qualche giorno per tentare di capirla e aiutarla. François è francese, e sembra estraneo a quel clima asfissiante. È “lo straniero” venuto per scompaginare una struttura malata ma funzionante, in una famiglia che usa la malattia di un membro come capro espiatorio, come scudo per ripararsi dalle malattie sotterranee che non lasciano immuni nessuno. E che, gradualmente, fanno più paura di quella malattia bollata come tale solo per convenienza. Persino François si rivela affetto dal male che accomuna i genitori di Viola: il male più torbido, perché agisce senza essere visto, e può venire scambiato per sanità mentale. L’ossessione è la vera protagonista del film, il filo rosso che unisce i personaggi e in cui Viola si è trovata impigliata suo malgrado. Perché, forse, la giovane è l’unica sana, e non è François lo straniero, ma lei. Lei che riesce a curarlo dalla sua ossessione, e che solo quando capisce di essere vittima si riscatta passando dall’altra parte. Eppure, sembrava Viola l’animale morente. Nascosta dietro i cespugli, sulle scale, dietro la porta, spiava la vita degli altri non vivendo la propria. Quelle soggettive traballanti, il rumore del respiro agitato in sottofondo: lei era presente con la sua sofferenza anche quando non era in campo. Tracciava linee con la penna tra le ferite autoinflitte, e quella trama di righe sporgenti e bidimensionali sembravano delle scritte in codice per decifrare una malattia di cui non sapeva nulla.
Gli episodi significativi si consumano durante le cene, sempre interrotte: il pasto, che in altre famiglie cementa il dialogo, in questa rappresenta il punto di rottura, quando le ipocrisie vengono smascherate e fingere non giova più a nessuno. Spesso la macchina da presa si pone dietro una delle quattro sedie attorno al tavolo: quella vuota. Alternatamente, manca un personaggio all’inizio della cena, e quelle riprese rubate fanno pensare a soggettive del commensale assente. Ma non lo sono; si avverte la presenza di un quinto personaggio, un occhio esterno che partecipa al clima ossessivo e forse incarna il vero straniero. Sguardo che coincide, quasi goliardicamente, con quello dello spettatore.
Se Christian Angeli avesse dosato meglio i suoi ingredienti, il film avrebbe potuto generare quel perturbante freudiano: la famiglia intesa come fatale necessità, come riparo e covo di angoscia insieme, è un tema forte, che disturba. Purtroppo, l’angosciante può diventare grottesco, ma se diventa ridicolo indica che l’autore ha fallito. E noi possiamo solo augurarci che nel suo secondo film Angeli sappia gestire una materia incandescente senza bruciarsi.

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Regia: Christian Angeli
Interpreti: Alba Rohrwacher, Luigi Diberti, Maddalena Crippa, Ivan Franeck, Barbara Enrichi, Lena Reichmut
Distribuzione: Iris Film
Durata: 87’
Origine: Italia, 2008

 

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