In fondo al bosco, di Stefano Lodovichi

Il giovane regista ci offre un film ben costruito, che fonde suggestioni horror a quelle da thriller psicologico, anche se forza la mano sull’effetto-sorpresa

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Val di Fassa provincia di Trento, 5 dicembre 2010. Gli abitanti della cittadina alpina si travestono da demoni per celebrare la tradizionale festa dei Krampus durante la quale, leggenda narra che il diavolo stesso risalga dagli inferi per mescolarsi alla folla. Spaventato dalle maschere, il piccolo Tommi tenta inutilmente di attirare l’attenzione del padre, poi cerca rifugio nel bosco, dove sarà attratto dalla luce fioca proveniente da una capanna di legno. Da quel momento in poi si perderanno le sue tracce.

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A partire dal titolo e dall’incipit, il giovane regista Stefano Lodovichi marca la mano su suggestioni da favola oscura, con i demoni osservati dall’altezza dello sguardo del bambino e il suo successivo avvicinarsi ad un rifugio inquietante, che sorge tra le tenebre della foresta, in pieno stile fratelli Grimm. Poi il film cambia momentaneamente forma, facendo il verso allo sciacallaggio mediatico che consegue i fatti di cronaca: si vedono spezzoni di telegiornali e talk show, tramite i quali scopriamo che il principale indagato è Manuel, il padre di Tommi. Il bambino riapparirà miracolosamente cinque anni dopo e piuttosto che un lieto evento, il suo ritorno porterà con sé i fantasmi del passato.

Sviluppandosi tra l’horror fiabesco e il thriller psicologico, In fondo al bosco risulta

tommi_2015-03-27_152-copialeggermente pretenzioso e un po’ ingenuo. Pretenzioso perché si affida molto a un linguaggio codificato, che segue binari predefiniti dei quali non perde mai la traccia, restando in tal modo un film troppo “pulito” e ben confezionato, nonostante voglia addentrarsi nel torbido. Lodovichi e gli sceneggiatori sembrano più interessati al twist ending (o addirittura al doppio twist!) piuttosto che alla complessità effettiva dell’argomento trattato. Ingenuo perché, nelle sottolineature dei tratti horror della vicenda, il film risulta a volte lievemente grottesco piuttosto che effettivamente perturbante, anche se la location aiuta a creare un ambiente algido e sospeso nel tempo, offrendo di per sé elementi estranianti. Lodovichi forza la mano sull’effetto sorpresa, ma mantiene effettivamente fino in fondo l’ambiguità tra gli elementi misterici e psicologici. In tal senso il potenziale drammatico del racconto è mostrato con più efficacia quando verte sulla descrizione della famiglia, malata e disfunzionale già da prima della scomparsa di Tommi. Brava Camilla Filippi nel ruolo della madre svuotata di ogni impulso vitale, che nell’arco del film si disconnette sempre più dalla realtà che la circonda, iniziando a muoversi come in uno stato di trance. Quando dal fondo del bosco, Lodovichi si sposta dentro le mura domestiche il racconto diventa dunque più sentito, ma non tocca mai corde veramente profonde. L’alterità, il perturbante, che si insinua tra gli stessi legami familiari, che è la formula tramite la quale lo psicologico si trasforma in horror, il familiare assume un volto irriconoscibile e mortifero del Roman Polanski di Repulsion o del Lars von Trier di Antichrist, sono solo sfiorati. In confronto quello di Lodovichi è un lavoro ben pensato e diligentemente strutturato, a cui manca il pathos e la forza del puro orrore di autori che hanno il coraggio di confrontarsi con la reale ed intangibile mostruosità celata nella nostra psiche.

Bella l’idea della famiglia non necessariamente “biologica”. Quali sono gli elementi costitutivi di una famiglia, cosa la rende tale? Sembra domandarsi e domandarci Lodovichi.

 

Regia: Stefano Lodovichi
Interpreti: Camilla Filippi, Filippo Nigro, Giovanni Vettorazzo, Teo Achille Caprio, Stefano Pietro Detassis
Distribuzione: Notorious Pictures
Durata:
Origine: Italia 2015

 

 

 

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