In the Lost Lands, di Paul W. S. Anderson
Il cineasta tenta di riportare in vita le Terre Perdute di George R. R. Martin, ma il viaggio tra visioni distopiche e suggestioni fantasy finisce per smarrirsi in un deserto di déjà-vu.
Tra le primissime immagini di In the Lost Lands, il quattordicesimo lungometraggio di Paul W. S. Anderson – autore del capitolo d’apertura della saga di Resident Evil – c’è quella di Boyce, cowboy solitario e donnaiolo interpretato da Dave Bautista, che lentamente emerge dalle tenebre rivolgendosi direttamente – o almeno questa è la sensazione – allo spettatore, introducendolo a ciò che di lì a poco verrà. Rottura della quarta parete? O semplicemente la distorsione (immaginifica e malvagia) d’una percezione visiva fin da subito fantasmatica? Il calore d’una voce e di un volto narrante assai conosciuto, per quanto orrorifico poiché insozzato di sangue, viene spezzato ben presto dal presagio del male: “Questa storia non ha un lieto fine”. La beffa del diavolo corrisponde a realtà, o intende soltanto scoraggiare lo spettatore?
Passando per le manipolazioni della strega Gray Alys (Milla Jovovich) e la ferocia di coloro che ancora sopravvivono alla desolazione e alla violenza sregolata delle Terre Perdute, ci convinciamo che forse è così: questa storia non potrà mai avere un lieto fine. A suggerirlo con forza è un luogo alla fine del tempo e del mondo, che è al tempo stesso terra di tutti e di nessuno, nel quale suggestioni e maledizioni si confondono tra loro, illudendo superstiti, tiranni e creature dell’oscurità di poter emergere nuovamente, tornando in superficie, al ricordo di qualcosa che è stato e che da troppo tempo non è più: ossia il mondo per come lo ricordiamo, figlio d’un rimosso disperato, fideistico e spietato, che tutto alimenta fuorché la speranza. Il suo nome è Skull River.
Chiamati a raggiungere le Terre Perdute, il cowboy Boyce e la strega Gray Alys dovranno soddisfare le richieste, apparentemente antagoniste eppure in accordo tra loro, di due giovani ancora tragicamente estranei ai reciproci desideri. I quali, nonostante la confusione delle rispettive missioni di vita, fantasticano perdendosi nell’oscurità del sogno proibito, che osserva la violenza e riscopre poi l’amore, vero e proprio protagonista del film, seppur sommerso dalla polvere. C’è chi intende trasformarsi in bestia e chi invece vorrebbe diventare uomo, poiché nulla sottomette l’umanità. Cosa rara nelle Lost Lands. Ma è davvero così?
Dalle pagine di George R. R. Martin, autore della saga letteraria e oggetto di culto Il trono di spade, allo sguardo questa volta confuso – se non addirittura perduto, andando a braccetto con il titolo del film – di Paul W. S. Anderson: un regista che, sempre o quasi, ha saputo confrontarsi con i linguaggi del fantasy, dell’horror e della distopia da grande intrattenimento. Ricordiamo infatti non soltanto Resident Evil, ma anche e soprattutto Soldier, Death Race e, perché no, perfino Monster Hunter, che, a differenza di questo sfortunato In the Lost Lands, dimostra di saper esplorare e raccontare, con piglio divertito e inevitabilmente rumoroso e popolare, l’immaginario visivo d’un mondo altro, generato dal videoludico e non solo.
L’operazione questa volta non riesce, risultando copia sbiadita tanto della saga di Mad Max quanto di titoli ormai noti come Codice Genesi, Macchine Mortali e Blade Runner 2049. Dal lavoro sulla fotografia, a cura di Glen MacPherson, che rispolvera senza alcuna ambizione i toni seppia, il bianco e nero e le allucinate cromature milleriane, fino alla scrittura del film, ad opera dello stesso Anderson. Insomma, non c’è niente di nuovo qui. Né i codici stantii e svogliati del western sci-fi – le cavalcate al tramonto del mondo perduto risultano forse i momenti migliori del film, esplorati non casualmente tra titoli di testa e titoli di coda – né tantomeno la prova d’attrice della protagonista, e compagna nella vita, Milla Jovovich.
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Furiosa? Non più. Perduta? È certo. Un blockbuster mancato, che vorrebbe disperatamente essere tale, senza però possederne portata epica e basi strutturali. Mai spettacolare, raramente adrenalinico, fin troppo spesso estraneo ai linguaggi dell’apocalisse. In una sola definizione: Lost. Ci ricorda l’adattamento da La torre nera e no, non è un bene.
Titolo originale: id
Regia: Paul W. S. Anderson
Interpreti: Dave Bautista, Milla Jovovich, Arly Jover, Amara Okereke, Fraser James, Simon Lööf, Deirdre Mullins, Sebastian Stankiewicz, Jacek Dzisiewicz, Tue Lunding, Ian Hanmore, Eveline Hall, Kamila Klamut, Caoilinn Springall, Pawel Wysocki, Jan Kowalewski, Tomasz Cymerman, Nicolas Stone
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 101′
Origine: Germania, Canada, USA, 2025
























