In viaggio, di Gianfranco Rosi

Rosi ripercorre i viaggi di Papa Francesco dal 2013 a oggi, utilizzando in gran parte materiali d’archivio. Forse il suo film meno ambizioso, ma non per questo il meno complesso. A Venezia79

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Nel 2013, poco dopo la sua elezione al soglio pontificio, Papa Francesco visita Lampedusa, al centro della crisi dei migranti. Proprio in quell’isola, di lì a poco Gianfranco Rosi girerà Fuocoammare, Orso d’Oro a Berlino nel 2016. Segno di un’urgenza comune. Chissà che non nasca già da lì l’idea di seguire i viaggi di Papa Bergoglio in giro per il mondo, dal Brasile, Cuba, gli Stati Uniti, fino alle Filippine, all’Israele e alla Palestina, all’Iraq e al Kurdistan di Notturno. Fino ancora al fatidico momento della processione solitaria in una Roma deserta al tempo della pandemia. In nove anni, Papa Francesco ha visitato 53 paesi, per testimoniare la sua presenza e partecipazione nei luoghi più problematici del pianeta, per diffondere una parola di speranza, pace e dialogo. Ma anche per raccontare una nuova prospettiva della Chiesa, obbligata a ripensare la sua posizione rispetto alle sfide del mondo, ma anche la propria organizzazione e le proprie ombre (come lo scandalo della pedofilia). Un impegno politico e diplomatico, certo, ma che nulla toglie all’urgenza di certi discorsi e alla portata di un percorso spirituale.

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E quindi Gianfranco Rosi decide di raccontare proprio questo percorso, attraverso il giro del mondo di Papa Francesco. E In viaggio è, in apparenza, il film più semplice e meno ambizioso di Gianfranco Rosi. Dopo l’impresa di Notturno (tre anni nelle zone di guerra del Medio Oriente) e dopo aver sfiorato prospettive quasi fantascientifiche nella creazione di mondi immaginari, ritorna nei ranghi più “canonici” di un documentario da costruire innanzitutto con le immagini d’archivio. Ma maggior semplicità non vuol dire minor complessità. Anzi. Perché c’è sempre la necessità di chiedersi i come e i perché. L’obbligo di trovare un modo per far dialogare immagini di varia natura e delineare un discorso che non sia la pura giustapposizione di scene e momenti. La necessità di dichiarare la propria posizione senza che diventi però un’ingombrante sovrapposizione.

Il punto, qui, è che l’archivio a cui attinge Rosi è fatto di materiali che non sono stati pensati e girati per una destinazione cinematografica. Riprese televisive e giornalistiche. Immagini, che per forza di cose, fanno uso di un linguaggio funzionale e “ufficiale”, senza profondità. Rosi sceglie di non alterarle o manipolarle. Le lascia allo stato grezzo, come un’incredibile, prolungata ripresa sfocata della macchina papale che attraversa la folla. E le fa confrontare con nuove riprese e, soprattutto, con le immagini, ben più costruite, del suo archivio personale, del suo cinema mai innocente, sempre estremamente studiato nella composizione. Così, già sul piano visivo, emerge la sensazione di uno scarto, di un dialogo precario, quasi impossibile. E, alla fine, precipitando di livello in livello, è come se Papa Francesco parlasse un’altra lingua, declinata al modo ottativo del desiderio, al tempo dei sogni e dei tanti futuri possibili. Che, al netto delle prediche e della retorica, è una prospettiva completamente lontana da un mondo sempre più smarrito nelle connessioni del presente. Un dialogo precario che emerge anche da alcune scene-testimonianze, l’incontro con lo sguardo smarrito dell’ayatollah Al-Sistani in Iraq, le foto ufficiali dell’incontro con Erdogan. Da tutti quei discorsi in cui Papa Francesco avverte la fatica della parola precisa, che squadri da ogni lato, quella che metta d’accordo tutti e che non lasci strascichi. Quella parola che sia perfetta e racchiude in sé un universo morale e una densità di significato. Proprio come l’immagine che ottusamente cerchiamo. Ma forse è come nell’incredibile, esilarante scena della videochiamata con gli astronauti in viaggio nello spazio. Passano decine di secondi prima che i saluti del papa arrivino dall’altra parte. E, poi, da lì, finalmente si stabilisce il contatto. Forse dovremmo abituarci all’immediatezza del gesto e all’idea di una parola che giunge in ritardo, in differita. Alla speranza di una comprensione futura. Qualcuno capirà

 

Regia: Gianfranco Rosi
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 80′
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3.13 (8 voti)
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